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‘Irretiti’ dal contemporaneo?

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Lo scorso 4 dicembre, su iniziativa del Direttore Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee, Maddalena Ragni, si è tenuto a Napoli, al Museo di Capodimonte, un convegno sul tema: “Sud contemporaneo: progetto per una rete”. Un’iniziativa importante, che serve anche a ricordarci come, nelle istituzioni pubbliche, e nonostante la vulgata ci porti a pensare il contrario, c’è anche tanto di buono e di propositivo.
L’incontro è stato un’occasione per riflettere su alcune delle problematiche che caratterizzano il mondo dell’arte contemporanea, soprattutto delle arti visive. E che, come spesso accade, è servito a far emergere alcune questioni proprio in ordine all’idea di rete, a cui il convegno stesso era dedicato. Nonché, ovviamente, alle specificità che caratterizzano il Sud del paese, anche sotto questo profilo.
Non è un caso che la sede prescelta, la città di Napoli, oltre ad essere la capitale del Mezzogiorno sia anche (stata) un centro importantissimo per l’arte contemporanea, e non solo in Italia. E, per certi versi, sembra che qualcosa stia tornando a muoversi, intorno a questo tema. Forse, lo stesso convegno è, casualmente, un sintomo di questo (possibile) risveglio.

La nuova stazione Toledo della Metropolitana

La nuova stazione Toledo della Metropolitana

Premetto che non ho potuto seguire la sessione pomeridiana del convegno, e quindi possibile che qualcosa mi sia sfuggito. Vorrei comunque provare ad articolare alcune considerazioni in merito ai temi ed alle questioni emerse nella mattinata.
Nel suo intervento, Maria Grazia Bellisario (MIBAC) ha detto: “La complessa e variegata realtà del contemporaneo in Italia fa (infatti) sentire sempre più forte e da più parti l’esigenza di mettere in comunicazione situazioni spesso decisamente diverse tra loro, ma accomunate dalla avvertita necessità di rendere visibile, comprensibile e apprezzata l’offerta delle espressioni artistiche contemporanee ad un pubblico sempre più vasto e consapevole”, ponendo sin dall’inizio una questione cruciale, che però poi mi è sembrato non fosse compiutamente raccolta. Rendere visibile e comprensibile, ad un pubblico sempre più vasto, è infatti la questione fondamentale per l’arte contemporanea, e per il suo futuro. Ed è, ad un tempo, centrale sia per garantire l’avvenire delle istituzioni museali, sia per evitare che il nostro Paese esca dalla contemporaneità nell’arte, abbandonandosi al declino.

É evidente a tutti che l’arte contemporanea pone delle problematiche comunicative nuove, forse assolutamente inedite. La rarefazione negli esiti della ricerca artistica, la sempre maggiore concettualità che la caratterizza, rendono le arti contemporanee assolutamente meno in comunicazione con il sentire comune (quantomeno sul piano della consapevolezza), creando quindi un gap che necessita di essere colmato.
Naturalmente, non è qualcosa che possa risolversi semplicemente attraverso opportune e migliori azioni di marketing; si tratta piuttosto di avviare un’operazione di lungo respiro, che deve trovare il suo primo terreno di coltura nella scuola e nell’università. Senza però ritenere che, ancora una volta, sia sufficiente la didattica. Non basta – a mio avviso – una azione educativa sull’estetica oppure su una moderna storiografia dell’arte, laddove il cuore del problema è riconnettere il mondo interiore e la sensibilità dell’artista e quello della società che lo esprime, e far sì che ciò avvenga attraverso un processo di consapevolezza. Insomma, occorre agire in modo più vasto, più profondo e più duraturo, sul corpo sociale, che non semplicemente introducendo l’arte contemporanea come materia nelle scuole di ogni ordine e grado.

Un’altra questione centrale, a mio avviso, emerge dalle osservazioni fatte da Anna Detheridge (Connecting Cultures). Nel suo intervento, infatti, ha sottolineato quelle che sono, probabilmente, le esigenze che possono trovare senso e soluzione nel fare rete, ovvero l’accesso a servizi di supporto quali la consulenza fiscale ed il crowdfunding (tanto per citarne alcuni). Il che, ovviamente, ci porta ad un’altra considerazione.
“Nel Mezzogiorno (ci sono) 225 luoghi stabilmente dedicati all’arte contemporanea (in prevalenza di natura pubblica) e 108 manifestazioni di varia natura e rilevanza”. Così lo Studio per la Definizione di una Rete dell’Arte Contemporanea nelle Regioni del Mezzogiorno, presentato al convegno a cura di di CLES e Civita. Se questa è la platea da cui partire per ragionare su una possibilità di messa in rete, appare infatti chiaro che si pongono dei problemi di scopo. Per la natura stessa dei soggetti potenzialmente interessati ad entrare in rete, innanzi tutto, che possono essere pubblici o privati, luoghi od eventi.
Già la definizione dei criteri di accesso alla rete, costituiscono l’anticamera di queste problematiche. I criteri, infatti, possono essere di storicità (durata nel tempo), di qualità, persino di censo (entità della quota associativa). E sussistere singolarmente o combinati tra di loro. Ovviamente, questi criteri definiscono ab origine le finalità della rete, e ne prefigurano gli scopi.
Scopi che possono andare da un livello più basico, quale ad esempio il coordinamento della programmazione, la costruzione di calendari coordinati per l’offerta turistica, l’interscambio e la produzione comune, per arrivare ad un livello più avanzato, quale la progettazione comune per l’accesso a fonti di finanziamento pubblico, l’apertura di canali di scambio internazionali, etc.
In ogni caso, è fondamentale -imho – che questa rete, se vedrà la luce, sia quanto più possibile orizzontale, reticolare, includente; e soprattutto, che sappia offrire vantaggi concreti ad i suoi aderenti, senza diventare l’ennesimo ente inutile, o l’organigramma vuoto buono solo per i biglietti da visita.

Due brevi annotazioni, infine, sulla specificità napoletana. Da un lato, la notizia che la Stazione Toledo della Metropolitana, da poco inaugurata, è stata giudicata la più bella d’Europa. Nel momento in cui il non-governo di Caldoro sta portando al collasso il sistema di trasporto regionale, questo evento non solo stride in maniera drammatica con la realtà, rendendone più vividi i toni, ma restituisce anche un senso alle cose – e speriamo, anche una consapevolezza e dunque una speranza, ai cittadini napoletani. In qualche modo, ci dice che non tutto è perduto, che è ancora possibile ricominciare da tre.
L’altra notizia è che la politica torna ad interessarsi del contemporaneo, nelle forme che più gli competono. La scorsa estate, sui quotidiani ci fu un lungo dibattito sulle sorti del Museo MADRe, in cui brillava per la sua assenza proprio la politica, ed in particolare quella cittadina. Nei giorni scorsi, e nell’imminenza della nomina del nuovo Direttore del MADRe, abbiamo letto su Repubblica un’intervento di Peppe De Cristofaro, Segretario cittadino di Sinistra Ecologia e Libertà, che entrava nel merito delle questioni politiche ed amministrative poste dalle scelte dell’assessore Miraglia.
Di là dal merito, è un segnale positivo, che testimonia – mi auguro – l’avvio di un inversione di tendenza più generale, che porti la città (e segnatamente la sua parte culturalmente più sensibile ed attiva) ad interrogarsi sul proprio futuro, tornando ad essere davvero protagonista delle scelte che la riguardano. Perchè in ogni caso la politica non va lasciata sola, nel riflettere e nel decidere sulle questioni culturali della città.
In quest’ultimo anno e mezzo, Napoli è sembrata irretita da una promessa di mirabolanti cambiamenti. Forse, ora si può cominciare a sperare che si svegli dall’incantamento. C’è un detto africano, ripreso da Federico Rampini come titolo del suo ultimo libro, “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”; beh, forse l’orologio della demagogia politica si è finalmente rotto, e sta per tornare il tempo della ricostruzione.