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Il Grande Nulla

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Infine, ed inevitabilmente, il rimpasto è arrivato.
Ovviamente, come era prevedibile, si tratta di un rimpastino, perchè al di là del rimescolamento dei nomi, assolutamente nulla è cambiato. Da un certo punto di vista, anzi, i mutamenti intervenuti nella Giunta comunale si dimostrano rivelatori della crisi profonda – e per nulla risolta – che attraversa l’amministrazione. L’obiettivo iniziale del Sindaco era quello di allargare la sua base, sia sul piano consiliare che su quello sociale. E, attraverso questa operazione – che contava di chiudere con un coinvolgimento di PD e SEL – rientrare in qualche modo in quella che costituisce il suo unico, vero interesse: la partita politica nazionale.
Sfortunatamente per lui, le cose sono andate diversamente dal previsto. Il PD, per quanto allo sbando ed attraversato da numerose pulsioni favorevoli all’ingresso in Giunta (l’astinenza da governo è difficile da… governare!), ha preferito mantenersi libero, rinviando a tempi (e condizioni) migliori un’eventuale rientro a Palazzo San Giacomo. Dal canto suo anche SEL, che pure non si trova in condizioni migliori, ha saputo resistere alla sirena arancione, ben comprendendo che un allargamento della maggioranza si costruisce sulla base di un diverso programma – e non semplicemente su un diverso organigramma.
In compenso, la fu rivoluzione arancione (e civile) sembra aver sedotto quantomeno i consiglieri UDC, che ormai supportano la maggioranza quasi stabilmente…
Del resto, anche il Sindaco è allegramente passato dalla fiera opposizione al governo Monti al sostegno al governo Letta, composto dalla medesima maggioranza del precedente, destinato a svolgere sostanzialmente le stesse politiche, ed oltretutto con una più marcata (e talvolta marchiana) presenza di esponenti del PDL.
Si potrebbe pensare che De Magistris, dopo aver isolato la città rispetto al governo nazionale con le sue reiterate esternazioni ostili, si sia ora ravveduto. Ma essendo io un noto malfidato, ho le mie riserve; ben più probabile, infatti, che si tratti soltanto di una tardiva mossa tattica, adottata in funzione di quelle (mai sopite) ambizioni nazionali di cui dicevo.
Il Sindaco, infatti, ha sempre mostrato di non comprendere che – in quanto tale – dovrebbe intervenire nel dibattito politico attraverso i suoi atti amministrativi, e non con i tweet rivoluzionari o le dichiarazioni roboanti ai media.

Il Grande Nulla, ma quello 'autentico'

Il Grande Nulla, ma quello ‘autentico’

Sia come sia, il maquillage amministrativo è alfine arrivato.
Come sempre, preferisco concentrare l’attenzione sulle politiche culturali, chè troppo ci sarebbe da dire sull’amministrazione della città in generale.
E poiché questo rimpastino, pur non essendo il primo cambiamento nella squadra del Sindaco (che sin da subito non ha fatto che perdere pezzi), rappresenta comunque uno spartiacque, mi sembra giusto partire da un bilancio di quanto ci lasciamo alle spalle. Anzi, da un bilancino.
Se si guarda all’indietro, a questi due anni, è davvero difficile trovare traccia di una qualche politica culturale. Direi quasi che è difficile trovare qualche traccia, purchessia. Il biennio trascorso all’insegna di Antonella Di Nocera non lascia alcunché alla città, non un evento significativo, non un indirizzo di rilievo, non un importante processo avviato. E probabilmente non poteva essere diversamente, per una gestione subalterna quale è stata quella appena conclusa; subalterna nei confronti dei De Magistris (Sindaco e fratello), ovviamente.
Alla mancanza di fondi, che sull’assessorato alla cultura ha pesato ancor più che su altri, si è sommata la mancanza di idee; dalle stanze dell’assessorato, nel corso di questa prima fase amministrativa, ne sono uscite ben poche, e nessuna di successo. Spesso bistrattata dalla sua stessa maggioranza (si ricordano i pubblici attacchi di Maria Lorenzi, presidente della commissione cultura del Comune), l’assessore Di Nocera può vantare all’attivo solo le Giornate x la Cultura, tardive ed insufficienti. Per il resto, non pervenuta. Sostanzialmente, la sua gestione è stata caratterizzata da un approccio raccogliticcio: mettere insieme tutto ciò che in città viene comunque prodotto sul piano artistico e culturale, cercando di farlo apparire come un qualcosa di unitario, di programmato.
A fine mandato, posso confermare la valutazione che ne feci tempo addietro, in un intervista al Corriere del Mezzogiorno: “Volenterosa, inadeguata”.

La seconda (ed ultima?) fase dell’amministrazione napoletana, si apre ora con la nomina di Nino Daniele al posto che fu della Di Nocera. É sempre sgradevole, dover in qualche modo anticipare un giudizio sull’operato delle persone. Sarebbe più corretto attendere di poterlo fare ex post, o quanto meno dopo un sufficiente lasso di tempo. Purtuttavia, quando si parla di questioni politiche, il peso delle singole personalità è ridimensionato, rispetto a quello sovradeterminato dal quadro generale.
E questo, è segnato dal fatto che il rimpasto della Giunta comunale è sfacciatamente legato ad esigenze di facciata, e non di sostanza. Non c’è infatti alcuna variazione di programma – non essendoci alcun programma, sarebbe in effetti difficile… – e quindi tutto è destinato a proseguire come prima.
Certo, il neo-assessore è stato Sindaco di Ercolano, quindi si può supporre che sia meno disponibile ad un ruolo così smaccatamente subalterno. D’altro canto, pare che sia noto soprattutto per il suo impegno anti-camorra, avrà quindi bisogno di qualcuno che di politiche culturali ne sappia… Ovviamente, e giustamente, un ruolo politico e non tecnico non necessita strettamente di una competenza specifica; ma certo non guasterebbe.
Ci sono ora alcune grandi questioni, che attendono l’assessore Daniele.
C’è innanzitutto il buco nero del Forum Universale delle Culture. In merito al quale, in questi anni, abbiamo sentito dire di tutto e di più, ma senza mai vedere nulla di vero. Si dice che le bugie hanno le gambe corte, perchè non vanno lontano; ma in merito al Forum, siamo da tempo alle bugie focomeliche
C’è la questione del PAN. Cosa fare, con quali idee, quali mezzi, quali obiettivi, del Palazzo delle Arti Napoli. Ormai ridotto più che mai a grande contenitore senza identità, inseguendo maldestramente l’idea di metterlo a reddito.
C’è il problema del Mercadante – e del teatro in generale, a Napoli. Un problema politico, che riguarda la Direzione De Fusco, ed uno economico, che attiene ai fondi che il Comune deve al Teatro di Città. Ma ovviamente senza dimenticare la crisi di un intero comparto, ed il modo in cui questa si intreccia con la gestione del Napoli Teatro Festival Italia.
C’è da risolvere i nodi della biblioteca Marotta e della collezione De Simone. Due importanti patrimoni cittadini, che rischiano di andare dispersi, o comunque di non ricevere l’adeguata attenzione.
C’è la questione della destinazione d’uso di alcuni importanti spazi, per di più già interamente (o quasi) restaurati, come il complesso conventuale di San Domenico Maggiore, l’ex-Ospedale Militare ai Quartieri Spagnoli, l’Albergo dei Poveri a Piazza Carlo III…

Ancora una volta, le questioni sul tappeto sono esattamente le stesse di due anni fa – ma incancrenite. Saprà il nuovo assessore, non dico risolverle, ma quanto meno affrontarle? Riuscirà a strappare qualche risorsa al Sindaco – o magari ad attingere a qualche finanziamento europeo? Vedremo finalmente messe in campo delle idee?
La speranza (che non vuole mai morire…) è che qualcosa si muova. La previsione (spero sinceramente smentita dai fatti) è che nulla cambierà. Per uscire da questo Grande Nulla napoletano, ci vorrebbe una squadra coesa nel conseguimento di obiettivi chiari e precisi, e con solide connessioni con il tessuto connettivo della città. Non vedo nulla di tutto questo.

“Libertà è partecipazione”

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In questi giorni, a Roma, si tiene la seconda edizione della Biennale dello Spazio Pubblico. Obiettivo della Biennale, è quello di “diffondere buone pratiche realizzate in Italia e all’estero, e stimolare il dibattito sul recupero degli spazi pubblici”. Chissà se l’amministrazione pubblica napoletana se ne è interessata… Perchè poi, a furia di parlare di beni comuni, si rischia di perdere di vista qual’è il senso del termine pubblico. E invece non sarebbe male rammentare che con questo termine si indica non solo ciò che appartiene al pubblico (ovvero la sua proprietà è collettiva), ma anche ciò che è aperto, fruibile dal pubblico.
In tempi in cui si fa uso a piene mani della retorica, per giustificare operazioni di cassa – si pensi al reiterato richiamo alla necessità di “salvaguardare le nuove generazioni”, come scusa per colpire quelle attuali (riforma delle pensioni, tagli al welfare…) – non è male provare un attimo a riportare l’attenzione su questo termine, sul suo significato più pieno e profondo.
Da decenni, ormai, si è imposta in Europa – ed in Italia in particolare – un’idea della politica del tutto subalterna all’economia, ed un’idea di quest’ultima profondamente svincolata dal mondo della produzione reale, privilegiando invece quella finanziaria. Basti pensare alla incredibile quantità di Presidenti della Repubblica, del Consiglio, e Ministri vari, che negli ultimi anni sono approdati direttamente ai vertici della gestione dello Stato, provenendo da quello delle banche e della finanza.
É fuori discussione che, di là dalla personale onestà e correttezza, questi abbiano portato con sé, e nella politica, il proprio imprinting culturale; che è appunto quello di chi opera all’interno di un preciso sistema, ovviamente condividendone logica e prassi.
Il progressivo slittamento della politica, la sua perdita del senso di sé e del proprio ruolo, ha finito col determinare e consolidare l’idea dominante che occuparsi della cosa pubblica sia fondamentalmente una questione contabile. É così che il patrimonio pubblico diventa, nella visione dell’attuale classe dirigente, esclusivamente patrimonio: una risorsa, un bene, da mettere a reddito se non da alienare per far quadrare i conti.

Spazio pubblico è spazio 'di tutti'

Spazio pubblico è spazio ‘di tutti’

Ma il patrimonio pubblico non è solo patrimonio comune, di tutti. La proprietà pubblica di un palazzo, di là dal suo valore storico, artistico e culturale, non fa capo meramente alla collettività attuale; essa deriva anche dal contributo delle generazioni precedenti, ed appartiene in egual modo alle generazioni future. La sua alienabilità è quindi materia molto delicata. Tanto più che, nel medesimo arco di tempo che ha visto l’affermarsi di questa ideologia liberista, non a caso nel nostro Paese si è assistito ad una progressiva e costante polarizzazione sociale ed economica, con la crescente concentrazione della ricchezza e la depauperizzazione dei ceti medi e meno abbienti. Segno questo che il modo in cui concretamente sono state gestite le politiche di rigore e di risanamento dei conti, ha prodotto sostanzialmente uno spostamento della ricchezza, senza peraltro sanare i deficit; legittimo quindi prevenire la svendita del patrimonio pubblico, i cui costi ricadrebbero sulla collettività, apportando ancora una volta ricchezza laddove essa già si trova.
Ma non è ovviamente di economia, che voglio dire – non ne ho né la competenza né la passione. Pur non mancandomi, come a ciascuno, la capacità di cogliere le discrasie tra gestione pubblica e comune buon senso
Quel che mi interessa è capire quale dovrebbe, e quale possa, essere una gestione saggia ed eticamente corretta del patrimonio pubblico. Che ne rispetti il valore non meramente economico, senza per questo ignorarne quest’ultimo aspetto.

Pur nella considerazione che le politiche economiche e finanziarie sono sempre più sovradeterminate – in una progressione piramidale, al vertice della quale c’è l’indefinito quanto incontrollabile mercato – non si può non partire dai territori, dagli ambiti territoriali ed amministrativi locali. Quelli che, non a caso, sono considerati enti di prossimità.
E basti pensare all’enorme patrimonio pubblico afferente la città di Napoli, per rendersi conto della portata del problema.
A due anni dal cambio di amministrazione comunale, da quella rosa (di nome e di fatto!) del centrosinistra a quella arancione del sindaco De Magistris, cosa è veramente cambiato, sotto questo profilo? Di la dalla retorica dei beni comuni, le uniche vere interlocuzioni dell’amministrazione sono state quelle con i gruppi economici ed imprenditoriali (De Laurentiis, Romeo, Faraone Mennella…). E se da un lato si è avviata un’operazione di alienazione del patrimonio immobiliare abitativo del Comune, sempre tramite la Romeo (ed i cui vantaggi economici finali sono ancora tutti da verificare), nulla si è mosso o si è visto per quanto attiene a quella parte di patrimonio pubblico che è tale non soltanto per titolo di proprietà. Forse con due sole eccezioni.
Il complesso conventuale di San Domenico Maggiore, il cui restauro è però frutto di scelte fatte e fondi impegnati dalla precedente amministrazione, e sul cui destino attuale e futuro, però, grava una cappa di assoluta incertezza. Il che porta con sé il pericolo dell’abbandono e dello spreco.
E, per altri versi, il complesso dell’ex-asilo Filangieri, in cui la lunga non-occupazione messa in atto (con il non disinteressato avallo del Sindaco) dal collettivo La Balena, se da un lato ha certamente prodotto un’intensa attività, dall’altro ha congelato una situazione comunque anomala e discutibile, sotto il profilo della legittimità formale e sostanziale. Resta da vedere, al riguardo, cosa ne sarà ora che la Fondazione Forum delle Culture – che lì ha sede – è tornata ad essere, dopo tutte le giravolte di De Magistris, l’organo attuatore del Forum stesso (altro mistero glorioso…).

E l’Albergo dei Poveri a Piazza Carlo III? Ed il complesso dell’ex-Ospedale Militare ai Quartieri Spagnoli? Solo per citare i due casi più macroscopici. Di la dall’essere di volta in volta indicati dal Sindaco, nelle sue estemporanee dichiarazioni, come sede di questo e quell’altro, rimangono strutture vuote, solo del tutto occasionalmente utilizzate. E le decine e decine di chiese abbandonate? E i famosi bandi per l’assegnazione degli spazi comunali al mondo dell’associazionismo? Che ne è, del patrimonio pubblico napoletano, qual’è la sua condizione attuale, e la sua destinazione futura? Quale idea ha in merito – ammesso che ne abbia una – l’attuale amministrazione?
Tra le fantasie (e le ambizioni) di grandeur del sindaco, e gli appetiti degli immobiliaristi, la città è in effetti gestita come un condominio.  Nessun orizzonte che non sia la quotidiana manutenzione. Che per di più, avendo pochi soldi in cassa, risulta assai sbilenca e precaria.
Bene fanno i partiti della sinistra, a rifiutare l’ingresso in maggioranza, senza un cambio programmatico del governo cittadino. Ma fanno malissimo quando questo cambiamento non sanno concretamente disegnarlo e proporlo. Dov’è l’idea di città futura? Qual’è il progetto nuovo?
Ben venga il lungomare liberato (anche se tempi e modi per realizzarlo sono stati a dir poco discutibili); anche i simboli servono. Ma serve anche altro. Serve urgentemente qualcuno che tracci le linee guida per la Napoli di domani. Che chiarisca il cosa ed il come, oltre che il quando. Magari – ad esempio – a partire da un censimento del patrimonio pubblico a Napoli. Così, per avere quanto meno un’idea concreta di cosa stiamo parlando.
Se si provasse ad aprire una discussione pubblica, su questi temi? Non sarebbe forse – e per davvero – una cosa di sinistra?
“Libertà è partecipazione”, mi par di ricordare…

Così è, se vi pare

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Il prossimo 4 giugno, prenderà il via il Napoli Teatro Festival 2013. Il Direttore De Fusco, nel presentarlo insieme al Presidente della Fondazione Campania dei Festival, l’assessore regionale Caterina Miraglia, mena vanto delle produzioni con attori e registi di fama internazionale, e lancia una bordata contro il Sindaco e la giunta comunale, affermando che “il Comune dovrebbe essere contento: a giugno doveva esserci il Forum delle Culture, del quale non sentiamo più parlare, non abbiamo più notizie. Invece ci sarà il festival”. Il festival, aggiunge, costerà quest’anno solo 4 milioni, a fronte dei 6 della scorsa edizione; e non ci sarà più il raddoppio a settembre. Quel che i due omettono di dire è che il NTF non paga da anni attori e tecnici che hanno lavorato alle produzioni delle edizioni precedenti. Che è stato citato in giudizio per questo da alcuni grandi nomi del teatro internazionale. Che in passato, e con i soldi del Festival, il Direttore De Fusco ha realizzato una sua produzione, costata 500.000 euro (e che, oltre il danno la beffa!, trattavasi de L’Opera da Tre Soldi…) Che De Fusco agisce in regime di monopolio semi-padronale, essendo anche Direttore dello Stabile napoletano (Mercadante e San Ferdinando), e che il teatro napoletano è ormai agonizzante. Che l’assessore Miraglia è un mirabile esempio di invadenza della politica, essendo al tempo stesso ai vertici dell’istituzione politica e degli organismi operativi che ne dipendono (ragion per cui, in assoluta solitudine, continuo a ritenere e chiedere che dovrebbe dimettersi). Quanto alla frecciatina sul Forum, peraltro fondata, nasce forse dalla delusione: la gestione del Forum nei siti regionali UNESCO, infatti, è stata sino all’ultimo in ballo tra la Fondazione diretta dal De Fusco e la SCABEC, la società partecipata che ha la gestione del Museo MADRe, e che si è infine aggiudicata la commessa (5 milioni di euro…).

Il teatro napoletano grida vendetta...

Il teatro napoletano urla vendetta…

D’altra parte, a 10 giorni dall’incontro con i rappresentanti della Fundaciò di Barcellona, che avrebbe dovuto essere nelle parole del Sindaco il punto di svolta, rimane il silenzio più totale. Nessuna comunicazione ufficiale sul programma, nessuna notizia dei bandi. L’assessore Di Nocera, ancora all’inizio del mese, nel corso delle Giornate x la cultura, ha ribadito la sua presa di distanza da un evento che la vede totalmente esclusa; mentre il referente ufficioso-ufficiale, Claudio De Magistris, fratello del Sindaco, tace.
Il Forum, si dice, comincerà a luglio, quando la città sarà presumibilmente boccheggiante per il caldo estivo; e si svolgerà prevalentemente all’interno di spazi chiusi, come la Mostra d’Oltremare e l’area ex-NATO a Bagnoli. Insomma, una scelta strategica geniale, perfetta per puntare al massimo coinvolgimento della città…
Così alla fine, i nostri solerti amministratori, dopo aver fatto e disfatto di tutto, in una cosa sembrano essere riusciti: snaturare completamente il Forum.
Quella che avrebbe dovuto essere, infatti, una grande manifestazione culturale, con un forte impatto strutturale, una larga partecipazione dei cittadini, ed una ricaduta positiva duratura, si preannuncia come l’ennesimo grande evento, una serie di spettacoli – magari anche di grande impatto – il cui target sarà inevitabilmente turistico. Ancora una volta, quindi, si sceglie la strada peggiore: usare Napoli come scenografia prestigiosa, con notevoli costi a carico della collettività e profitti per pochi. Una logica, forse inconsapevolmente, neo-borbonica.

Gli spazi pubblici del Comune, dal Maschio Angioino a Castel dell’Ovo al PAN, nella prospettiva della messa a reddito, sono ormai del tutto privi di una qualsivoglia parvenza di identità. Del resto, nel momento in cui si è operata la scelta di privilegiarne l’uso sulla base della possibilità di spesa dei proponenti…
Città della Scienza, almeno per la parte a mare, andata distrutta nell’incendio, si ricostruirà a Bagnoli. Ma, con uno di quei compromessi all’italiana, che son peggio di qualsiasi soluzione netta, pare si voglia… lasciare invariato il varco d’accesso, ma spostare i padiglioni in posizione diversa rispetto a quella pregressa!
Il complesso conventuale di San Domenico Maggiore, da poco riaperto dopo un lungo ed oneroso restauro, e per il quale si ipotizzava la destinazione d’uso a Museo della Musica – tanto che se ne parlò anche come sede della raccolta De Simone – sembra non si sappia più cosa farne. Come a dire che si degraderà lentamente, senza manutenzione ordinaria, utilizzandolo occasionalmente per gli eventi più disparati.
E Palazzo Fuga, lo splendido Albergo dei Poveri, con il suo restauro interrotto a metà, che domina la piazza come la facciata di una scenografia di cartone, in attesa di un film che non verrà mai girato…
Ed il complesso dell’ex-Ospedale Militare ai Quartieri Spagnoli, altro restauro senza alcun seguito…
A Napoli, per dire che di qualcosa ce n’è in abbondanza, si usa la locuzione se ne cade… E mai come adesso, è sembrata pienamente calzante.

La città si spegne, lentamente, di un’agonia infinita di cui lo stato della cultura e dei beni culturali è paradigma. E intanto, cerusici si affollano intorno senza costrutto.
Così è, se vi pare.

Perchè no.

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Detesto cordialmente il pregiudizio. Ma riconosco che difficilmente se ne rimane immuni, e talvolta fondatamente.
La scorsa settimana avevo scritto delle Giornate x la cultura organizzate dall’assessore Di Nocera, e lo avevo fatto non nascondendo il mio scetticismo al riguardo. Ciò nonostante, sono andato a seguirle, cercando di vedere ed ascoltare sgombrando il campo da ogni possibile pre-giudizio. E di sicuro, non ho difficoltà ad ammetterlo, alcune cose mi hanno colpito positivamente. Ma il bilancio rimane negativo. E per più di una ragione.
Ragioni che proverò qui a riassumere, “per chi l’ha visto e per chi non c’era” – per dirla con Ivano Fossati…
Riportando prima, però, le voci positive – che tanto si fa in fretta – di cui prima dicevo.
Ho apprezzato l’organizzazione, sobria ma efficiente. Ho trovato ben fatta la scelta degli interventi delle plenarie (Salvatore Settis, Aldo Masullo, Paolo Macry, Tomaso Montanari). Mi ha confortato, per altri versi, la mancanza di lamentazioni negli interventi del pubblico – quasi inevitabili, in situazioni del genere. E che testimoniano di un clima comunque positivo che, intorno alle Giornate, era stato creato.
E naturalmente, ho molto gradito l’incursione di Daniel Pennac, nel corso dell’ultima giornata, con le sue argute considerazioni.
Ma, per quanto mi sforzi, davvero qui si esaurisce il computo delle note positive. A mio avviso, ovviamente.

No. Non ci siamo...

No. Non ci siamo…

Quello delle note negative, ahimé, è ben più denso.
Cominciamo dalla scelta dei tempi. Nella sua relazione introduttiva, l’assessore ha ricordato che “le Giornate le ho pensate verso la fine dell’anno scorso”; ma questo conferma la valutazione negativa, rispetto al fattore tempo. Se, infatti, la ragion d’essere delle Giornate era l’ascolto, si sarebbero dovute tenere al più tardi a fine 2011, a non più di sei mesi dall’insediamento della nuova amministrazione. Sarebbe stato un modo per inaugurare una diversa stagione di rapporto tra operatori culturali ed istituzioni, e forse sarebbe servito ad ascoltare le storie e le idee di chi nella cultura lavora, traendone spunto per delineare le politiche d’intervento della Giunta. L’ascolto, quindi, sarebbe ora quanto meno tardivo.
Ma, nelle parole dell’assessore, non c’è stato nemmeno un bilancio di mid-term della propria gestione. A quasi metà sindacatura De Magistris – ammesso che duri tutti e cinque anni… – non una parola per dire abbiamo fatto questo e quest’altro, abbiamo avviato questo processo, puntiamo a questo risultato… É che, implicitamente, questa omissione segnala un dato reale: nulla è stato fatto, nulla è stato avviato.
La relazione introduttiva di Antonella Di Nocera è stata ricca di spunti personali, di riferimenti a ben note situazioni napoletane (dall’insulae di San Domenico Maggiore, che ospitava il convegno, a Palazzo Fuga, al teatro San Ferdinando, a Castel Nuovo, Città della Scienza…), e di molti desiderata finali. Ma se dovessi dire che sia emersa anche solo una traccia di politiche culturali, non saprei proprio dove trovarla.

Nonostante gli interventi di apertura, da parte dei succitati ospiti, siano stati interessanti (per quanto già noti, nella sostanza e nelle argomentazioni, e pur assolutamente condivisibili), inevitabilmente questi si sono rivelati inadatti a sollecitare ricadute effettuali immediate. Nè poteva essere altrimenti, poiché – appunto – i temi in essi affrontati erano tutti di ordine generale. Un’ottima cornice, ma che di per sé non poteva determinare il quadro. Il risultato dei tavoli di lavoro, quindi, almeno per quanto desumibile da un primo report fatto dai vari facilitatori, non ha prodotto sostanziali novità, né i vari elementi sono apparsi inquadrati in un progetto organico, o che andasse oltre il cosa (si vorrebbe), provando ad esplorare il come (realizzarlo).
Peraltro, alcune delle idee emerse dal lavoro dei tavoli erano state, anche su questo blog, avanzate più di un anno fa. E non lo dico per rivendicare primogeniture, quanto piuttosto per sottolineare che se davvero si volesse dare ascolto…

Non meno significativo mi appare che, come del resto qualcuno ha sottolineato dalla sala, non si può venire a dire “quell’altra bellissima parola: sinergia. Il concetto più importante: fare rete”, e poi svicolare dinanzi alla contestazione che sono proprio le istituzioni a non farlo. Perchè non ha molto senso dire “li abbiamo invitati, non sono venuti”, riferendosi agli assessori regionali. Il coordinamento tra le istituzioni è qualcosa che va ben al di là dell’invito a presenziare ad un convegno! É – o meglio, dovrebbe essere – una modalità operativa, a cui si sarebbe dovuto mettere mano, ostinatamente se necessario, già due anni fa. Del resto, gli ottimi rapporti che intercorrono tra il Sindaco ed il Presidente Caldoro potrebbero essere utilizzati per qualcos’altro che non sia l’organizzazione di grandi (?) eventi, come ad esempio la costituzione di un tavolo di lavoro congiunto su alcuni grandi temi – trasporti, turismo, cultura… E dico questo senza nulla togliere alle responsabilità della Giunta regionale campana, e dei singoli assessori – di cui peraltro, a cominciare dall’assessore Caterina Miraglia, ho più volte chiesto le dimissioni.

Ancor più significative, mi sono sembrate le assenze e le omissioni. Ho seguito per intero la prima giornata, e buona parte di quella conclusiva, e per quanto la presenza fosse sempre abbastanza numerosa (dalle 150 persone dell’apertura alle 100 della chiusura), ho potuto constatare le numerosissime assenze. Sono davvero innumerevoli i volti (a me) noti, e dei settori più disparati, che non ho visto nemmeno affacciarsi per dare un’occhiata. Segno che, pur riconoscendo la bontà delle intenzioni, c’è una buona fetta di operatori culturali napoletani ormai sfiduciati, che nulla si aspettano più dalle istituzioni. E che non si recuperano al dialogo con un convegno siffatto.
Ho trovato significativo che nessuno facesse cenno alla questione dell’ex-asilo Filangieri, che comodamente il Comune preferisce lasciare nel cono d’ombra in cui si trova, prolungando l’equivoco status quo ed al tempo stesso tenendosi le mani libere per un eventuale cambio di strategia nei confronti degli occupanti.
Ho trovato indecente il palleggio tra assessore e sindaco sul tema del Forum Universale delle Culture. Antonella Di Nocera, che al Forum ha dedicato le ultime parole del suo intervento, ha detto: “Non mi occupo del Forum direttamente, ma ho sempre espresso il mio parere sul Forum, che doveva essere un processo da costruire con la città e con i cittadini. Ora bisogna pretendere e lavorare affinché duri la sua eco, che sia qualcosa che resta alla città in termini reali e non una serie di eventi. Un programma unitario, che la Fondazione dovrà gestire e che Barcellona dovrà accettare: un format Napoli, una manifestazione articolata che ha capacità di coinvolgimento diffuso e sostanziale delle energie creative, dei giovani, dei territori e che persegue l’obiettivo di consolidare in modo condiviso progetti e talenti che esistono.” Dopodichè, ha passato la palla al Sindaco, presente al suo fianco, rinviando a lui il compito di parlarne. Ma se è pur vero che l’assessore è stata sin dal primo momento esclusa dal Forum, che senso ha adesso, a pochi giorni dal (presunto) inizio, parlare di “un processo da costruire con la città e con i cittadini”?

Dal canto suo, il Sindaco ha superato se stesso in spudoratezza. Nel corso del suo intervento, infatti, si è limitato a dare certezza (?) che i fondi ci sono. Non una parola di più. Salvo poi, a latere e conversando con i giornalisti, avere il coraggio di affermare abbiamo salvato il Forum“! Lui, l’artefice primo del disastro, colui il quale ha fatto e disfatto tutto ed il contrario di tutto, portandoci ad una situazione che, a pochi giorni dal (ribadisco: presunto) inizio del Forum, si presenta caratterizzata dalla più totale incertezza, ha pure la pretesa di presentarsene come il salvatore! Aggiungendo “si utilizzeranno fondi europei che fino all’ultimo centesimo andranno agli operatori culturali della città”. Bene, gli chiederemo conto anche di questa affermazione, a bocce ferme.
Cito ancora una volta Antonella Di Nocera, la quale ha affermato che “primo tra i compiti della politica è affermare un’etica della responsabilità.”
Sarebbe bene che lo rammentasse al Sindaco, per il quale questa è sempre di qualcun’altro (chi lo ha preceduto, i poteri forti, chi rema contro…). E magari anche a se stessa.
Perchè se la crisi che stiamo vivendo, come Paese ma ancor più come città, è così profonda e drammatica quale lei stessa l’ha tratteggiata, occorre affidare l’amministrazione a chi ha la capacità di affrontarla, e l’onestà di assumersene la responsabilità. La buona fede e le buone intenzioni non bastano, tantomeno la presunzione.
Aria nuova, prima che sia troppo tardi.

Il bandolo della matassa

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Ad un primo sguardo, la situazione napoletana appare – sotto il profilo delle politiche culturali – segnata da un processo di decadimento costante. Più d’uno sono, in effetti, gli aspetti di picco in questo processo, talmente tanti che diventerebbe difficile farne più che una mera elencazione – in questo contesto.
Vorrei quindi partire da quattro di questi aspetti, perchè mi sembra che siano una valida cartina di tornasole per evidenziare le questioni cruciali per le politiche culturali cittadine.
Il primo di questi, è la questione della raccolta De Simone e del museo della musica a San Domenico Maggiore.
Il secondo è quello dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Gerardo Marotta e della sua biblioteca.
Il terzo è quello del Museo MADRe.
Il quarto è quello del Forum Universale delle Culture 2013.

La prima delle querelle estive di quest’anno dolente, è stata appunto quella aperta dal maestro Roberto De Simone. Sicuramente, De Simone è un personaggio non facile da maneggiare, e talvolta le sue reazioni possono apparire ingiustificate o fuori misura; d’altro canto, il suo valore è fuori discussione, e certo i tempi ed i modi della politica sono altri rispetto a ciò che usualmente si considera normale… Probabilmente, parte di questa querelle poteva essere evitata, o sopita, avendo una maggiore attenzione e cura nei rapporti tra pubbliche amministrazioni e De Simone stesso.
Ma il punto centrale va al di là delle questioni caratteriali o di bòn tòn relazionale.
Sono anni che il maestro De Simone manifesta la sua volontà di creare una scuola di musica a Napoli, e di creare – con la sua collezione – un museo. Desiderio, quest’ultimo, che si incrocia con il progetto di creare a San Domenico Maggiore il Museo della Musica. E quest’estate, stanco delle lungaggini della politica, batte il pugno sul tavolo ed annuncia che la sua scuola la farà a Portici.

La seconda, ed è cronaca recente, è quella della biblioteca di 300.000 volumi dell’Istituto fondato da Marotta. Anche qui, siamo in presenza di un problema noto da tempo, ma rispetto al quale non si è mai riusciti a trovare – da parte delle istituzioni pubbliche – delle soluzioni dignitose ed intelligenti, capaci di valorizzare i patrimoni presenti sul territorio ed internazionalmente riconosciute. Anche qui, una certa spigolosità dell’avvocato finisce per costituire un alibi per chi, istituzionalmente, dovrebbe occuparsi di queste cose. E così, impossibilitato a pagare i 200.000 euro annui di affitti, per alcuni appartamenti in cui attualmente è divisa la biblioteca, ed in mancanza di una soluzione alternativa – e possibilmente unica – anche Marotta batte il pugno,  ed annuncia che i libri finiranno in un deposito a Casoria.

Il caso del MADRe è, spero, fin troppo noto – ed è stato oggetto dei mio post precedente. La nuova amministrazione regionale di centro-destra si è impegnata nella demolizione del sistema culturale creato negli anni di Bassolino, piuttosto che nella sua rifondazione. Non a caso, infatti, a questo processo demolitorio si è affiancata una politica di occupazione militare dei posti di potere, spudoratamente esercitata in prima persona dal personale politico. Nel caso del MADRe, diversamente ad es. di quanto avvenuto per la Fondazione Campania dei Festival, la strenua resistenza opposta da Cicelyn ha prolungato l’assedio, fino a far cadere la cittadella per fame. Pur di occupare l’edificio simbolo di via Settembrini, infatti, la pulzella Caterina Miraglia non ha esitato a portarlo alla distruzione.

Il Forum delle Culture, cui ho dedicato nel tempo innumerevoli post, è semplicemente desaparacido. Dopo un tourbillon di interventi improvvidi e di palese improvvisazione da parte del sindaco De Magistris, che hanno via via smantellato la credibilità della Fondazione che avrebbe dovuto gestire l’evento, si è giunti alla decisione di svuotarla d’ogni contenuto, aprendo una stagione di contorcimenti amministrativi e di vergognosi giochi di potere intorno alle sue spoglie. Delle mirabolanti promesse del sindaco non v’è più traccia, e ad otto mesi dall’apertura del Forum non se ne sa assolutamente più nulla. Non se ne conosce nè il budget né chi lo gestirà, non se ne conosce il programma, non si sa se e come verrà coinvolta la città; nulla di nulla.

trovare il bandolo della matassa...

trovare il bandolo della matassa…

Come dicevo all’inizio, questi quattro casi esemplari rappresentano in modo perfetto l’insieme delle problematiche che affossano le prospettive culturali della città di Napoli.
Al primo posto, c’è ovviamente l’insipienza e l’incapacità della classe politica. I primi tre esempi rappresentano delle straordinarie opportunità di costruire un polo di attrazione culturale internazionale e d’eccellenza, capace di attrarre non semplicemente un turismo mordi e fuggi, ma un flusso più qualificato e prolungato, capace a sua volta di generare attrazione turistica di massa attraverso un processo di internazionalizzazione della città. Napoli come Parigi, Londra, New York.
Il Forum, a sua volta, avrebbe potuto essere l’occasione privilegiata per aprire questa stagione, e soprattutto per farlo coinvolgendo profondamente la città, rendendola partecipe non solo dell’evento in sé ma della progettualità futura che, a partire dall’evento, si sarebbe potuta e dovuta sviluppare.
Ma la classe dirigente napoletana, come e peggio di quella nazionale, appare assolutamente inadeguata. Autoreferenziale e priva d’immaginazione.
Quando, intervistata da Repubblica a proposito della questione De Simone, l’assessore Di Nocera dichiara “una scuola basta poco per aprirla”, viene da chiedersi perchè allora non l’abbiano fatto, perchè alla fine De Simone sia andato a Portici. Perchè si riesce in quattro e quattr’otto a portare a Napoli l’America’s Cup (sui cui costi e benefici aspettiamo ancora una verifica seria e credibile…), e non si riesce ad aprire la scuola di musica del maestro De Simone? Perchè la prima, appunto, si mette in piedi in poco tempo ed assicura grande visibilità mediatica, mentre la seconda richiede un investimento sul tempo e quindi fa meno notizia?
La politica non sa guardarsi attorno, non sa vedere oltre se stessa ed i propri clientes, e si infastidisce quando viene pubblicamente richiamata all’attenzione di qualcosa che invece sta lì, in attesa di venire comunque valorizzata. Si tratti della collezione De Simone, dei 300.000 volumi di Marotta o del CAM di Antonio Manfredi.
Un’altro aspetto di grande rilevanza, in parte al primo intrecciato, è quello degli investimenti privati in cultura. É chiaro che, questi, cercano innanzitutto la remunerazione del capitale investito. Tranne forse qualche rarissima eccezione, di fenomeni di mecenatismo non c’è alcuna traccia. Ed il più delle volte, l’investimento remunerativo che suscita l’interesse e l’attenzione del capitale privato è quello a breve.
D’altro canto, è anche vero che non esistono politiche volte specificamente a stimolare e favorire gli investimenti privati, e soprattutto ad inserirli in un quadro di crescita e sviluppo generale.
Ovviamente, queste politiche attengono prevalentemente alla dimensione nazionale, e non a quella delle amministrazioni locali. Purtuttavia, queste potrebbero fare comunque qualcosa – e soprattutto in modo diverso da come si fa attualmente. Difficile non pensare, ad esempio, che il coinvolgimento dei privati nella nuova gestione del MADRe, tanto sbandierato dalla Regione Campania, allo stato dei fatti si riduca alla presenza della Fondazione Morra Greco che – al di là di qualsiasi giudizio di merito – riceverà un milione di euro per curare un progetto all’interno del museo, pur essendo già partecipata dalla Regione stessa. Insomma, i privati invece di portare capitali li ricevono…
Mi chiedo, davvero non si riesce ad immaginare nulla capace di incoraggiare investimenti – anche internazionali – su progetti culturali di largo respiro e di lunga durata?
Nella sua prima sindacatura, Antonio Bassolino andò a New York per trovare i fondi necessari ad acquistare nuovi autobus per il trasporto urbano. Ma questi sanno solo battere cassa a Roma e Bruxelles.
Abbiamo un enorme patrimonio immobiliare di grande valore storico e culturale, abbandonato al degrado ed all’incuria. Abbiamo grandi risorse culturali e scientifiche, anche all’interno delle nostre università, che potrebbero costituire appetibilissimi partner per investitori nazionali ed internazionali. Ma se non si trova la chiave per attivare un percorso serio di sviluppo, non riusciremo mai ad intercettarli.
Ancora, queste storie ci dicono che, accanto al depauperamento del patrimonio culturale napoletano in senso lato, è in atto il suo invecchiamento. Non emergono energie e forme nuove, capaci di assicurare un futuro che non sia mera conservazione del passato. E la questione, ovviamente, non è la mancanza di artisti giovani e di valore, o di nuove produzioni culturali di spessore. La questione è la loro dispersione, la diaspora a cui si sentono condannati, l’incapacità nel fare massa critica qui e adesso. Che ciò accada in quella che, tra le grandi città del paese, è anche quella con la popolazione più giovane, è tragico.
La città non può rassegnarsi al suo declino. Dobbiamo trovare il bandolo della matassa, perchè tutto si tiene, ogni cosa è connessa all’altra.
Sta a noi trovare, innanzitutto, la voglia e la forza di metterci in gioco, di scommettere sul futuro. Non sarà la finta rivoluzione arancione a darcene uno, quindi rimbocchiamoci le maniche.