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Due gentlemen a Bagnoli

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#Bagnoli #Ciccì&Cocò #NapoliEspropriata

Per oltre tre anni, sono andati d’amore e d’accordo. Ogni tanto qualche bisticcio, ma come in tutte le coppie, niente di che. Grazie a questo feeling, Napoli ha visto alcune delle più discutibili iniziative milionarie degli ultimi anni, dall’America’s Cup al Giro d’Italia. Per converso, allo stesso feeling si deve attribuire il silenzio con cui il Comune di Napoli ha accolto – ad esempio – la disastrosa politica regionale nei trasporti, e quella scandalosa nella cultura (dal protettorato teatrale affidato a De Fusco, stabile napoletano compreso, alle vicende del MADRe, su cui l’allora assessore Di Nocera rivendicò il proprio disinteresse).
Ma ora pare che la coppia sia in crisi. Non più bisticci ma toni duri. Del resto, avvicinandosi importanti scadenze (elettorali) ciascuno pensa a sè.

Ciccì & Cocò

Ciccì & Cocò

D’improvviso, il Sindaco di Napoli riscopre “la distanza politica che c’è sempre stata tra me e lui” *. Ovviamente, come da classico coniugale, la colpa è sempre dell’altro: “è dovuta agli atteggiamenti e alle iniziative del Presidente della Regione negli ultimi mesi, da quando cioè si è messo in campagna elettorale”. Mentre lui – noblesse oblige – aveva sinora sorvolato per via di “‘un accordo tra gentiluomini’ istituzionale”. E noi, ingenui!, che credevamo la collaborazione tra istituzioni fosse un dovere, nei confronti dei cittadini…
É grazie a questo gentlemen’s agreement che invece sinora Comune e Regione hanno collaborato?
Strano che abbia tenuto a fronte di numerose questioni, che invece ora vengono rinfacciate…

Il commissariamento del San Carlo? L’accordo regge. Il commissariamento del porto? L’accordo regge. Il commissariamento di Bagnoli? L’accordo salta…
Perchè la questione delle questioni quella è. Certo, la campagna elettorale regionale fa alzare i toni, ma il nocciolo di tutto sta lì. Perchè la questione di Bagnoli è la sola che, nei prossimi anni, muoverà a Napoli enormi quantità di denaro, e ridisegnerà molti assetti – urbanistici, sociali, economici e di potere. Ecco perchè esserci o non esserci (politicamente) è il problema. Ed ecco che, shakespearianamente, tutto volge in farsa.
Intendiamoci, il commissariamento (tutti i commissariamenti…) è il fallimento della (buona) politica. E quando la politica fallisce, non c’è livello istituzionale che possa chiamarsene fuori. Ugualmente, la soluzione imposta da Roma, che taglia praticamente fuori il Comune di Napoli, non è semplicemente una sanzione delle sue inadempienze e dei suoi fallimenti (anche pregressi), ma un esproprio fatto alla città, cui si sottrae il controllo sul destino (cosa, come e quando) di un pezzo importante del suo territorio. Stabilendo – tra l’altro – un brutto precedente.

De Magistris sostiene ora che, dietro questa estromissione, ci siano Fintecna e l’Acen, che avrebbero condizionato l’incolpevole Matteo Renzi, anche grazie alle concomitanti pressioni dell’alleato Silvio Berlusconi. E tornano così queste coppie di fatto della politica italiana, gli accordi tra gentiluomini (celebrati a Santa Lucia o al Nazareno), che inevitabilmente caratterizzano la personalizzazione estrema della politica, inevitabilmente inquinandola.
Perchè in politica servono grandi leader e statisti, non futili prime donne. E invece ci ritroviamo con una Regione Campania che si approssima alle elezioni regionali stremata dalla crisi e dalla cattiva politica che l’ha gestita in questi anni, mentre il confronto elettorale – ancora una volta – è tra prime donne invece che tra programmi credibili e squadre affidabili.

P.S.
Napoli non sta messa meglio. E già aleggia la minaccia finale: “Mi ricandido e le primarie non riguardano me”.

* (De Magistris “Non ho isolato la mia città”, intervista su Repubblica Napoli, 22/09/14)

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#InfrastrutturePubblichePerLaCultura #RetePoliCulturaliRegionali #InternazionalizzazioneProduzioniCulturali #AssegnazioneSpaziInutilizzati

Dal mio punto di vista, politica vuol dire capacità di trasformazione dell’esistente, non semplicemente testimonianza delle proprie idee. Ciò implica, pressochè sempre, la necessità di mettere in campo mediazioni – con chi la pensa diversamente ma può essere alleato, con chi concorda sui fini ma non sui mezzi (o viceversa), e chi più ne ha più ne metta. In una parola, l’esercizio della politica comporta mediazioni con la realtà.
Ovviamente, stabilire dove si colloca il limite, tra una mediazione accettabile ed una che non lo è, fa la differenza. E su questo, va da sé, le opinioni divergono e molto. La storia del dopoguerra è piena di formazioni e movimenti politici, piccoli o grandi, che avendo deciso di collocare questo limite ad un livello molto alto, si sono di fatto tagliate fuori dalla possibilità di essere un attore attivo sulla scena politica.
Questa premessa per dire che, per quanto mi riguarda, è necessario mettersi in gioco (il che ovviamente non significa svendersi, o rinunciare alle proprie idee); in particolare quanto più il tema è prossimo alla vita dei cittadini.

La Regione Campania

La Regione Campania

C’è, oggi, in Campania, la questione concreta delle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale. É un tema di grande rilevanza, perchè è nelle regioni che si determinano alcune delle questioni che più incidono sulla vita delle persone – basti pensare al trasporto pubblico ed alla sanità. Più in generale, le regioni coincidono oggi con la cassa. Sono gli enti locali che ancora hanno una disponibilità economica rilevante, e quindi una sufficiente capacità di manovra.
Per dirla fuori dai denti, nessuno degli attori oggi in campo mi ispira fiducia. Anzi. Ma questa è pur sempre quella realtà con cui tocca fare i conti.

C’è oggi un rifiorire di iniziative, più o meno altisonanti, e più o meno concorrenziali tra loro…, che – sia pure con il malcelato scopo di promuovere le proprie cordate ed i propri candidati – tornano a porsi il problema di affrontare quantomeno anche il cosa ed il come, e non semplicemente il chi. L’esperienza ci dice che spesso queste elaborazioni restano sulla carta, e non si traducono in politiche concrete. Ma è anche vero che, altrettanto spesso, le politiche messe in campo sono inefficaci, per la semplice ragione che chi è chiamato ad immaginarle e realizzarle non ha idee in merito.
Sotto questo profilo, l’esperienza dell’amministrazione comunale di Napoli mi sembra esemplare.

Poichè il solo terreno su cui mi sento di poter mettere bocca con cognizione di causa è quello delle politiche culturali, penso sia giusto e doveroso dare il mio piccolissimo contributo su questo terreno.
Riassumendo in poche parole ciò che, a mio avviso, dovrebbe caratterizzare le scelte della prossima amministrazione regionale – ed avendo peraltro, proprio su questo blog, a lungo ragionato, più ampiamente, su questi temi.

Investimento su infrastrutture pubbliche per la cultura. É necessario chiudere una volta e per tutte la stagione dei finanziamenti a pioggia, il sostegno a miriadi di iniziative locali, il più delle volte senza particolare spessore, per ri-orientare gli investimenti verso la costruzione di un sistema di strutture pubbliche messe a disposizione di quanti producono cultura. Centri di produzione – almeno uno per provincia – in grado di fornire spazi, strumenti amministrativi, consulenza e logistica, a disposizione di quanti lavorano nelle produzioni culturali, con un costo inversamente proporzionale al reddito delle stesse.

Messa in rete dei poli culturali regionali. Creare un sistema permanente di rete tra i poli culturali della regione, siano essi musei, biblioteche, aree archeologiche, festival ed altre iniziative non occasionali – pubbliche o private – in grado di favorire non soltanto il coordinamento delle iniziative, ma anche la circolazione sul territorio delle diverse produzioni, e l’attivazione di sinergie tra poli anche di diversa natura.

Costruzione di un sistema per la internazionalizzazione delle produzioni culturali. Messa a punto di una struttura permanente dedicata alla promozione degli scambi culturali, che si occupi da un lato di favorire al massimo le residenze nella regione Campania, da parte di artisti ed operatori culturali stranieri, e dall’altro di promuovere la circuitazione internazionale delle produzioni culturali regionali.

Assegnazione di spazi inutilizzati. Interventi di ri-attivazione del mercato culturale regionale, attraverso lo sviluppo di procedure semplificate e veloci per l’assegnazione di spazi pubblici inutilizzati, a soggetti privati e con finalità di produzione culturale, anche con forme di co-finanziamento ad eventuali lavori di ristrutturazione, al fine di offrire concrete possibilità di impresa bypassando una buona parte degli oneri inizialmente necessari.

Va da sé che questi assets dovrebbero vedere, sia in fase progettuale che in fase attuativa, la massima partecipazione degli operatori culturali, e soprattutto una gestione caratterizzata dalla massima trasparenza. Non vogliamo né un ritorno alla triste epopea cortigiana che ha caratterizzato l’amministrazione bassoliniana, né tantomeno la replica dei favoritismi spudorati dell’amministrazione caldoriana. Insomma, no more occupazione dei centri di potere culturale in base alla vicinanza politica, no more mega-finanziamenti ai festival gestiti da sodali (Ravello-Brunetta), no more gestioni monopolistiche degli amici-degli-amici (Napoli Teatro Festival-Mercadante-De Fusco), e via cantando…

Sessanta milioni di motivi

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Ho sempre sostenuto che quella del “non ci sono i soldi” fosse una favoletta; certo, ce ne sono di meno che in passato, ma la questione cruciale è – come sempre del resto – come e dove vengono spesi.
É di questi giorni la notizia che, grazie all’azione congiunta dell’allora Ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca, e della Regione Campania, stanno per arrivare a Santa Lucia ben 60 milioni di euro “per il rilancio e la promozione della cultura in Campania”.
In periodo di crisi, con un settore così asfittico, si tratta di una vera manna dal cielo. Peccato che, di quei 60 milioni, ben 58 andranno a sole 9 istituzioni.
In cima alla classifica, svetta more solito il Napoli Teatro Festival, che da solo incamera ben 13 milioni. Segue il teatro San Carlo, con 12 milioni. 11 milioni vanno alla Fondazione Forum delle Culture, che dovrà gestire l’evento nel comune di Napoli. 6 alla Fondazione Donnaregina, per il Museo MADRe, e 5 alla Scabec, che gestirà il Forum nei siti UNESCO della Campania. 4 milioni ciascuno, per il Giffoni Film Festival e per il Progetto Ravello. Infine, due milioni vanno al teatro Mercadante, ed uno al Trianon.
Come si vede, la stragrande maggioranza dei fondi sono concentrati su Napoli (solo 13 sono destinati altrove), ed a fare la parte del leone è il teatro, con 28 milioni complessivi – di cui 15 saranno in mano al solito Luca De Fusco, nuovo ras del teatro partenopeo.
Contemporaneamente, si apprende che la Corte dei Conti ha aperto un’indagine sulla gestione contabile della Fondazione Forum. A conferma, appunto, che il nodo vero è sempre quello: come e dove si spendono i soldi pubblici. Sfortunatamente, questi sembrano una lepre irraggiungibile: i controlli arrivano sempre a posteriori, quando i soldi sono già stati spesi, e se va bene si riesce ad individuare qualche responsabilità, ma intanto i fondi hanno preso il volo…

Luogo simbolo della bellezza e del degrado cittadino

Luogo simbolo della bellezza e del degrado cittadino

La scorsa settimana, provavo a tracciare una sintetica mappa delle questioni aperte con cui dovrà confrontarsi il neo-assessore Nino Daniele. Forum, PAN, Mercadante, biblioteca Marotta e collezione De Simone, uso degli spazi pubblici. E subito esplodeva la querelle su Piazza del Plebiscito, con lo scontro tra il Sindaco De Magistris ed il sovrintendente Cozzolino.
É chiaro comunque che la questione vera, centrale, è l’impostazione che si vuole dare alla politiche pubbliche in campo culturale. L’imprinting del Sindaco, che su questo come su tutto esercita un controllo verticale ed accentratore, è stato ed è l’esatto contrario di quanto aveva promesso in campagna elettorale: allora diceva che avrebbe abbandonato la politica dei grandi eventi, una volta eletto non ha fatto altro che questi. Del resto, lo scarto, se non il vero e proprio rovesciamento, tra promesse elettorali e politica effettiva, è tutto sommato la cifra identificativa della sindacatura De Magistris. Anche se, gli va riconosciuto, in una cosa è stato coerente con gli impegni: scassare, ha scassato
Come ho detto, il rimpastino della Giunta è una mera operazione di lifting, e quindi difficile aspettarsi grandi novità. Resta da capire quanto (e se) possa incidere la personalità dei nuovi assessori, quanto possa introdurre – pur all’interno di un quadro predeterminato – un qualche cambiamento. Mi piacerebbe che l’assessore Daniele marcasse un cambio di passo, quantomeno nel modo in cui affronta i problemi. Piacerebbe sentire le sue idee, in termini generali, e sui temi più caldi. Certo l’esordio su Piazza del Plebiscito non è stato dei più entusiasmanti.

Ma, tanto per cominciare, sarei curioso di conoscere (e certo non solo io…) il programma del Forum delle Culture, ed il nome del Direttore. Vorrei sapere come si pensa di spendere quegli 11 milioni, e da chi, e con quali criteri, sono stati scelti gli eventi in programma. E naturalmente, vorremmo sapere come si procederà all’assegnazione degli appalti per la logistica…
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa della trasformazione de facto del PAN, che ormai ha cessato di essere Palazzo delle Arti per divenire più genericamente Palazzo delle Esposizioni; anzi, suggerisco che anche l’acronimo venga adeguato: PENa sarebbe più aderente alla realtà…
Vorrei sapere se pensa di incontrare l’avvocato Marotta ed il maestro De Simone, e per dirgli cosa. Se pensa – e come – di affrontare il nodo della gestione sovrapposta (e sovraesposta) del teatro napoletano, con De Fusco che controlla le due massime istituzioni, e ne fa un discutibile uso personalistico.
Se e come conta di affrontare la grande questione degli spazi pubblici, e di come utilizzarli per dare ossigeno all’economia cittadina – e magari cercare anche di frenare la fuga dei cervelli più creativi.
Mi piacerebbe capire se ritiene di farlo a partire dalle stanze di Palazzo San Giacomo, o se invece aprirà un confronto con gli operatori culturali. Se saprà dare ascolto, o si limiterà a prestare orecchio.

Non mi arrendo. Non ancora. Non del tutto. Continuo a pensare che sarebbe possibile fare altro, ed altrimenti. Continuo a pensare – ed a sperare – che tutto questo abbia un senso, che ci sia una via d’uscita. Che oltre il tunnel, per quanto lungo sia, torni la luce.
Per questo, continuo a fare domande che rimangono senza risposta. A lanciare provocazioni che non vengono raccolte. A sperare che le tante voci che si levano, possano divenire coro, e tutte insieme essere così fragorose da incrinare le mura dentro cui si barricano – arroganti e spaesate – le classi dirigenti locali.
Si racconta che Camilo Cienfuegos, uno degli eroi della Rivoluzione Cubana, nel corso di un combattimento con l’esercito di Batista ribattesse all’invito ad arrendersi gridando: “que se arinda tu abuela!” * Siamo ancora in tanti, ad essere animati da questo spirito. Non lasciamo, dunque, che siano gli altri a prevalere.

* “che si arrenda tua nonna!”

Il Grande Nulla

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Infine, ed inevitabilmente, il rimpasto è arrivato.
Ovviamente, come era prevedibile, si tratta di un rimpastino, perchè al di là del rimescolamento dei nomi, assolutamente nulla è cambiato. Da un certo punto di vista, anzi, i mutamenti intervenuti nella Giunta comunale si dimostrano rivelatori della crisi profonda – e per nulla risolta – che attraversa l’amministrazione. L’obiettivo iniziale del Sindaco era quello di allargare la sua base, sia sul piano consiliare che su quello sociale. E, attraverso questa operazione – che contava di chiudere con un coinvolgimento di PD e SEL – rientrare in qualche modo in quella che costituisce il suo unico, vero interesse: la partita politica nazionale.
Sfortunatamente per lui, le cose sono andate diversamente dal previsto. Il PD, per quanto allo sbando ed attraversato da numerose pulsioni favorevoli all’ingresso in Giunta (l’astinenza da governo è difficile da… governare!), ha preferito mantenersi libero, rinviando a tempi (e condizioni) migliori un’eventuale rientro a Palazzo San Giacomo. Dal canto suo anche SEL, che pure non si trova in condizioni migliori, ha saputo resistere alla sirena arancione, ben comprendendo che un allargamento della maggioranza si costruisce sulla base di un diverso programma – e non semplicemente su un diverso organigramma.
In compenso, la fu rivoluzione arancione (e civile) sembra aver sedotto quantomeno i consiglieri UDC, che ormai supportano la maggioranza quasi stabilmente…
Del resto, anche il Sindaco è allegramente passato dalla fiera opposizione al governo Monti al sostegno al governo Letta, composto dalla medesima maggioranza del precedente, destinato a svolgere sostanzialmente le stesse politiche, ed oltretutto con una più marcata (e talvolta marchiana) presenza di esponenti del PDL.
Si potrebbe pensare che De Magistris, dopo aver isolato la città rispetto al governo nazionale con le sue reiterate esternazioni ostili, si sia ora ravveduto. Ma essendo io un noto malfidato, ho le mie riserve; ben più probabile, infatti, che si tratti soltanto di una tardiva mossa tattica, adottata in funzione di quelle (mai sopite) ambizioni nazionali di cui dicevo.
Il Sindaco, infatti, ha sempre mostrato di non comprendere che – in quanto tale – dovrebbe intervenire nel dibattito politico attraverso i suoi atti amministrativi, e non con i tweet rivoluzionari o le dichiarazioni roboanti ai media.

Il Grande Nulla, ma quello 'autentico'

Il Grande Nulla, ma quello ‘autentico’

Sia come sia, il maquillage amministrativo è alfine arrivato.
Come sempre, preferisco concentrare l’attenzione sulle politiche culturali, chè troppo ci sarebbe da dire sull’amministrazione della città in generale.
E poiché questo rimpastino, pur non essendo il primo cambiamento nella squadra del Sindaco (che sin da subito non ha fatto che perdere pezzi), rappresenta comunque uno spartiacque, mi sembra giusto partire da un bilancio di quanto ci lasciamo alle spalle. Anzi, da un bilancino.
Se si guarda all’indietro, a questi due anni, è davvero difficile trovare traccia di una qualche politica culturale. Direi quasi che è difficile trovare qualche traccia, purchessia. Il biennio trascorso all’insegna di Antonella Di Nocera non lascia alcunché alla città, non un evento significativo, non un indirizzo di rilievo, non un importante processo avviato. E probabilmente non poteva essere diversamente, per una gestione subalterna quale è stata quella appena conclusa; subalterna nei confronti dei De Magistris (Sindaco e fratello), ovviamente.
Alla mancanza di fondi, che sull’assessorato alla cultura ha pesato ancor più che su altri, si è sommata la mancanza di idee; dalle stanze dell’assessorato, nel corso di questa prima fase amministrativa, ne sono uscite ben poche, e nessuna di successo. Spesso bistrattata dalla sua stessa maggioranza (si ricordano i pubblici attacchi di Maria Lorenzi, presidente della commissione cultura del Comune), l’assessore Di Nocera può vantare all’attivo solo le Giornate x la Cultura, tardive ed insufficienti. Per il resto, non pervenuta. Sostanzialmente, la sua gestione è stata caratterizzata da un approccio raccogliticcio: mettere insieme tutto ciò che in città viene comunque prodotto sul piano artistico e culturale, cercando di farlo apparire come un qualcosa di unitario, di programmato.
A fine mandato, posso confermare la valutazione che ne feci tempo addietro, in un intervista al Corriere del Mezzogiorno: “Volenterosa, inadeguata”.

La seconda (ed ultima?) fase dell’amministrazione napoletana, si apre ora con la nomina di Nino Daniele al posto che fu della Di Nocera. É sempre sgradevole, dover in qualche modo anticipare un giudizio sull’operato delle persone. Sarebbe più corretto attendere di poterlo fare ex post, o quanto meno dopo un sufficiente lasso di tempo. Purtuttavia, quando si parla di questioni politiche, il peso delle singole personalità è ridimensionato, rispetto a quello sovradeterminato dal quadro generale.
E questo, è segnato dal fatto che il rimpasto della Giunta comunale è sfacciatamente legato ad esigenze di facciata, e non di sostanza. Non c’è infatti alcuna variazione di programma – non essendoci alcun programma, sarebbe in effetti difficile… – e quindi tutto è destinato a proseguire come prima.
Certo, il neo-assessore è stato Sindaco di Ercolano, quindi si può supporre che sia meno disponibile ad un ruolo così smaccatamente subalterno. D’altro canto, pare che sia noto soprattutto per il suo impegno anti-camorra, avrà quindi bisogno di qualcuno che di politiche culturali ne sappia… Ovviamente, e giustamente, un ruolo politico e non tecnico non necessita strettamente di una competenza specifica; ma certo non guasterebbe.
Ci sono ora alcune grandi questioni, che attendono l’assessore Daniele.
C’è innanzitutto il buco nero del Forum Universale delle Culture. In merito al quale, in questi anni, abbiamo sentito dire di tutto e di più, ma senza mai vedere nulla di vero. Si dice che le bugie hanno le gambe corte, perchè non vanno lontano; ma in merito al Forum, siamo da tempo alle bugie focomeliche
C’è la questione del PAN. Cosa fare, con quali idee, quali mezzi, quali obiettivi, del Palazzo delle Arti Napoli. Ormai ridotto più che mai a grande contenitore senza identità, inseguendo maldestramente l’idea di metterlo a reddito.
C’è il problema del Mercadante – e del teatro in generale, a Napoli. Un problema politico, che riguarda la Direzione De Fusco, ed uno economico, che attiene ai fondi che il Comune deve al Teatro di Città. Ma ovviamente senza dimenticare la crisi di un intero comparto, ed il modo in cui questa si intreccia con la gestione del Napoli Teatro Festival Italia.
C’è da risolvere i nodi della biblioteca Marotta e della collezione De Simone. Due importanti patrimoni cittadini, che rischiano di andare dispersi, o comunque di non ricevere l’adeguata attenzione.
C’è la questione della destinazione d’uso di alcuni importanti spazi, per di più già interamente (o quasi) restaurati, come il complesso conventuale di San Domenico Maggiore, l’ex-Ospedale Militare ai Quartieri Spagnoli, l’Albergo dei Poveri a Piazza Carlo III…

Ancora una volta, le questioni sul tappeto sono esattamente le stesse di due anni fa – ma incancrenite. Saprà il nuovo assessore, non dico risolverle, ma quanto meno affrontarle? Riuscirà a strappare qualche risorsa al Sindaco – o magari ad attingere a qualche finanziamento europeo? Vedremo finalmente messe in campo delle idee?
La speranza (che non vuole mai morire…) è che qualcosa si muova. La previsione (spero sinceramente smentita dai fatti) è che nulla cambierà. Per uscire da questo Grande Nulla napoletano, ci vorrebbe una squadra coesa nel conseguimento di obiettivi chiari e precisi, e con solide connessioni con il tessuto connettivo della città. Non vedo nulla di tutto questo.

Così è, se vi pare

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Il prossimo 4 giugno, prenderà il via il Napoli Teatro Festival 2013. Il Direttore De Fusco, nel presentarlo insieme al Presidente della Fondazione Campania dei Festival, l’assessore regionale Caterina Miraglia, mena vanto delle produzioni con attori e registi di fama internazionale, e lancia una bordata contro il Sindaco e la giunta comunale, affermando che “il Comune dovrebbe essere contento: a giugno doveva esserci il Forum delle Culture, del quale non sentiamo più parlare, non abbiamo più notizie. Invece ci sarà il festival”. Il festival, aggiunge, costerà quest’anno solo 4 milioni, a fronte dei 6 della scorsa edizione; e non ci sarà più il raddoppio a settembre. Quel che i due omettono di dire è che il NTF non paga da anni attori e tecnici che hanno lavorato alle produzioni delle edizioni precedenti. Che è stato citato in giudizio per questo da alcuni grandi nomi del teatro internazionale. Che in passato, e con i soldi del Festival, il Direttore De Fusco ha realizzato una sua produzione, costata 500.000 euro (e che, oltre il danno la beffa!, trattavasi de L’Opera da Tre Soldi…) Che De Fusco agisce in regime di monopolio semi-padronale, essendo anche Direttore dello Stabile napoletano (Mercadante e San Ferdinando), e che il teatro napoletano è ormai agonizzante. Che l’assessore Miraglia è un mirabile esempio di invadenza della politica, essendo al tempo stesso ai vertici dell’istituzione politica e degli organismi operativi che ne dipendono (ragion per cui, in assoluta solitudine, continuo a ritenere e chiedere che dovrebbe dimettersi). Quanto alla frecciatina sul Forum, peraltro fondata, nasce forse dalla delusione: la gestione del Forum nei siti regionali UNESCO, infatti, è stata sino all’ultimo in ballo tra la Fondazione diretta dal De Fusco e la SCABEC, la società partecipata che ha la gestione del Museo MADRe, e che si è infine aggiudicata la commessa (5 milioni di euro…).

Il teatro napoletano grida vendetta...

Il teatro napoletano urla vendetta…

D’altra parte, a 10 giorni dall’incontro con i rappresentanti della Fundaciò di Barcellona, che avrebbe dovuto essere nelle parole del Sindaco il punto di svolta, rimane il silenzio più totale. Nessuna comunicazione ufficiale sul programma, nessuna notizia dei bandi. L’assessore Di Nocera, ancora all’inizio del mese, nel corso delle Giornate x la cultura, ha ribadito la sua presa di distanza da un evento che la vede totalmente esclusa; mentre il referente ufficioso-ufficiale, Claudio De Magistris, fratello del Sindaco, tace.
Il Forum, si dice, comincerà a luglio, quando la città sarà presumibilmente boccheggiante per il caldo estivo; e si svolgerà prevalentemente all’interno di spazi chiusi, come la Mostra d’Oltremare e l’area ex-NATO a Bagnoli. Insomma, una scelta strategica geniale, perfetta per puntare al massimo coinvolgimento della città…
Così alla fine, i nostri solerti amministratori, dopo aver fatto e disfatto di tutto, in una cosa sembrano essere riusciti: snaturare completamente il Forum.
Quella che avrebbe dovuto essere, infatti, una grande manifestazione culturale, con un forte impatto strutturale, una larga partecipazione dei cittadini, ed una ricaduta positiva duratura, si preannuncia come l’ennesimo grande evento, una serie di spettacoli – magari anche di grande impatto – il cui target sarà inevitabilmente turistico. Ancora una volta, quindi, si sceglie la strada peggiore: usare Napoli come scenografia prestigiosa, con notevoli costi a carico della collettività e profitti per pochi. Una logica, forse inconsapevolmente, neo-borbonica.

Gli spazi pubblici del Comune, dal Maschio Angioino a Castel dell’Ovo al PAN, nella prospettiva della messa a reddito, sono ormai del tutto privi di una qualsivoglia parvenza di identità. Del resto, nel momento in cui si è operata la scelta di privilegiarne l’uso sulla base della possibilità di spesa dei proponenti…
Città della Scienza, almeno per la parte a mare, andata distrutta nell’incendio, si ricostruirà a Bagnoli. Ma, con uno di quei compromessi all’italiana, che son peggio di qualsiasi soluzione netta, pare si voglia… lasciare invariato il varco d’accesso, ma spostare i padiglioni in posizione diversa rispetto a quella pregressa!
Il complesso conventuale di San Domenico Maggiore, da poco riaperto dopo un lungo ed oneroso restauro, e per il quale si ipotizzava la destinazione d’uso a Museo della Musica – tanto che se ne parlò anche come sede della raccolta De Simone – sembra non si sappia più cosa farne. Come a dire che si degraderà lentamente, senza manutenzione ordinaria, utilizzandolo occasionalmente per gli eventi più disparati.
E Palazzo Fuga, lo splendido Albergo dei Poveri, con il suo restauro interrotto a metà, che domina la piazza come la facciata di una scenografia di cartone, in attesa di un film che non verrà mai girato…
Ed il complesso dell’ex-Ospedale Militare ai Quartieri Spagnoli, altro restauro senza alcun seguito…
A Napoli, per dire che di qualcosa ce n’è in abbondanza, si usa la locuzione se ne cade… E mai come adesso, è sembrata pienamente calzante.

La città si spegne, lentamente, di un’agonia infinita di cui lo stato della cultura e dei beni culturali è paradigma. E intanto, cerusici si affollano intorno senza costrutto.
Così è, se vi pare.

La mossa del cavallo

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Incredibilmente, nel caldo agosto di quest’estate napoletana, sulle pagine dei quotidiani ha conquistato grande spazio la querelle sul MADRe, il (fu?) Museo d’arte contemporanea della città.
Sarà perchè – com’è noto – in estate le notizie scarseggiano, e quindi ci si acconcia dando spazio ad argomenti che solitamente ne hanno molto meno? Voglio sperare di no. Voglio sperare che non sia anche questo un fuoco di paglia, uno dei tanti  incendi agostani di cui poi ci si dimentica – anche se si lasciano alle spalle terra bruciata.
Sulle pagine di Repubblica, in particolare, si sono succeduti numerosi interventi sul tema. Enrico Cisnetto della Scabec (la società di gestione del Museo, a capitale regionale), l’assessore Caterina Miraglia, Mario Franco, Mimmo Paladino, Nicola Spinosa, Ernesto Tatafiore, Aldo Masullo, Fabrizio Vona, Germano Celant, Pierpaolo Forte (Presidente della Fondazione Donnaregina), Francesco Clemente, ovviamente Edoardo Cicelyn, e da ultimi anche Vittorio Sgarbi ed Achille Bonito Oliva (ma vedrete che la serie continua…). Insomma, come si vede, un parterre di tutto rispetto.
Verrebbe quindi da pensare che l’attenzione sul tema sia alta, come la temperatura… A dirla tutta, di questo non sono invece tanto convinto. Un’intervista ad un’autorevole quotidiano non si nega, costa poco in termini di impegno e restituisce molto di più in termini di visibilità. Ma cosa si fa effettivamente, quali sono le iniziative in campo? A ben vedere, poco o nulla, se si prescinde ovviamente da quanto sta facendo la Regione Campania, con l’assessore Miraglia. Mesi fa, venne organizzata alla galleria di Alfonso Artiaco un assemblea di operatori artistici e culturali, proprio per discutere del destino del Museo; ma, a partire dagli organizzatori, non c’erano idee concrete in campo, ma solo preoccupazione, malumore, un confuso voler fare qualcosa. Inevitabilmente, il tutto si risolse in un buco nell’acqua, e non ebbe alcun seguito.
Da parte sua, anche il Comune di Napoli ha brillato per la propria assenza (o peggio), provando a nascondersi dietro il dito della competenza regionale… Il Sindaco De Magistris, che pure parla e tweetta su questo mondo e quell’altro, non ha detto una sola parola sul MADRe. Dal canto suo, l’assessore comunale Antonella Di Nocera ha liquidato la questione con l’ormai famosa (quanto infausta) frase “L’esperienza del MADRe è importante, ma tra i miei 500 file mentali aperti, almeno questo non c’è.”
Insomma, gli attori istituzionali o si disinteressano, o si limitano ad esprimere mediaticamente la propria opinione, gli addetti ai lavori seguono (forse) la vicenda dalle pagine dei giornali, la città in buona misura la ignora.

Il Cavallo di Paladino

Il Cavallo di Paladino

La questione, comunque, ha varie facce. C’è lo sfacciato spoiling system operato dalla Regione, che pur di rimuovere Cicelyn assurto a simbolo del bassolinismo, non ha esitato a portare il Museo sull’orlo del baratro; e ci sono gli strascichi di questo, con la guerriglia messa in atto dall’ex direttore. C’è la questione della programmazione e dell’identità futura del Museo, tra l’ingresso della Fondazione Morra Greco (che brilla per la sua assenza, fra quanti sono sinora intervenuti sul tema…) ed un risibile programmino. C’è il nodo degli incarichi, con un Comitato Scientifico ancora avvolto nel mistero ed il (discusso) bando per il nuovo Direttore. C’è ovviamente la questione dei fondi, tra quelli pubblici, sbloccati appena liquidato Cicelyn, e quelli privati, che rimangono una chimera.
Ma soprattutto, aggiungo, c’è la questione del modello museale verso cui si dovrebbe andare, a partire dalla definizione della sua funzione, e che invece mi sembra del tutto assente dal dibattito – costipato com’è nel confronto, spesso personalistico, tra cosa (e come) è stato, e cosa (e come) sarà. Insomma, l’annosa, stucchevole, stantia polemica tra il modello bassoliniano di politica culturale, ed un presunto nuovo, diverso modello, proposto dal centro-destra. Che, sia detto per inciso, mi sembra semplicemente una versione peggiorativa di quello precedente –  basti pensare alla straripante presenza della Miraglia in organismi vari, oppure alla gestione De Fusco in ambito teatrale.

Ma ragioniamo un attimo su questi aspetti.
Com’è noto, non ho mai risparmiato le critiche al modo in cui si è dispiegata la politica culturale nell’era bassoliniana, pur senza farne mai una questione pregiudiziale, ma anzi riconoscendo la bontà di alcune intuizioni, e taluni esiti positivi (pur in presenza dei discutibili iter che li hanno prodotti), quali ad esempio il Museo MADRe. Ciononostante, non si può negare che, da parte dell’amministrazione regionale di centro-destra, ci sia stato un attacco politico alla precedente gestione, e che questo sia stato condotto in modo sfrontato, senza ritegno e con grande protervia. Del resto, è sotto gli occhi di tutti: la politica culturale della giunta Caldoro (ammesso che ce ne sia una) è tristemente segnata da un’assoluta mancanza di idee, da un occupazione personalistica delle poltrone da far impallidire i momenti peggiori del bassolinismo, da un invadenza della politica senza precedenti. La nuova stagione politica, quindi, si è aperta con un discutibile e sgradevole arrembaggio ai centri di potere culturale (e amministrativo…), laddove si sperava invece in quel doveroso passo indietro della politica, e soprattutto in una valorizzazione delle competenze senza badare al colore della casacca. Tra l’altro, consumata ormai la prima metà del mandato, i risultati di tale politica si possono riassumere in due dati: la creazione di un potentato personalistico nel campo del teatro (Miraglia/De Fusco – Fondazione Campania dei Festival/Napoli Teatro Festival/Teatro Mercadante), e la distruzione del museo d’arte contemporanea.
D’altra parte, non si può non osservare, con un certo fastidio, l’insistenza con cui l’ex-Direttore Cicelyn rifiuta di farsi da parte (un idea, questa, che per la classe dirigente italiana è equiparata alla peste…); da ultimo, la sua conclamata volontà di partecipare al bando per il nuovo direttore, all’unico scopo di aver titolo per impugnarlo. Che abbia sempre considerato il MADRe una sua creatura (la sottolineatura non è casuale), è noto; ma questo atteggiamento da après moi le delùge francamente lo trovo insopportabile. Prenda atto che la sua stagione è conclusa – quantomeno per quanto riguarda il Museo di via Settembrini – e si dedichi ad altro, senza spendere il suo tempo a mettere i bastoni tra le ruote; che tra l’altro, allo stato appare cosa davvero ridondante

Cosa sia stato il Museo cicelyniano, è abbastanza noto. Grandi numeri di spesa (circa 110 milioni di euro) ma scarsi numeri di presenze; secondo il Rapporto di Attività 2007-2009, la media di visitatori per il periodo in oggetto è stata inferiore a 180/giorno (200.000 totali) – comprendendovi però anche quelli legati ad eventi paralleli, come la discoteca Madrenalina, il cineforum, i concerti jazz. Numeri che, nella loro crudezza, raccontano di un mancato rapporto con il territorio, così come di una scarsa attrattività extraterritoriale. Non si vuole certo paragonarlo al MoMa di New York, che fa 2 milioni e mezzo di visitatori all’anno, oppure al MAXXI di Roma, che viaggia sui 500.000/anno. Ma piccoli musei, per di più dislocati in sedi estremamente periferiche, come il Castello di Rivoli vicino Torino, oppure il MART di Rovereto, raggiungono tranquillamente i 50/60.000 visitatori solo con una mostra, seppure importante. Per non parlare poi della assenza di una reale collezione permanente. Questo, appunto, per il passato. Ma il futuro?
Il futuro dovrebbe essere scritto in uno striminzito programmino, denominato I Cinque Cerchi (probabilmente, gli estensori pensavano di lanciarlo in contemporanea con le Olimpiadi di Londra…), il cui contenuto è praticamente nullo. In questo documento – Indirizzi strategici della Fondazione Donnaregina 21012 – 2014 – dovrebbero essere tracciate le linee guida del triennio; ma, a parte il fatto che il 2012 è già praticamente concluso, a voler essere generosi ciò che vi si trova è a malapena un abbozzo di buone intenzioni. I suddetti cinque cerchi – la cui alimentazione dovrebbe essere garantita, oltre che dai fondi europei, anche da “ricavi propri, sponsorizzazioni e partenariati” (sic!) – sarebbero: Dimensione Metropolitana, Dimensione Regionale, Dimensione Inter-Regionale, Dialogo Euro-Mediterraneo e Oltre il Mediterraneo. Per capire la profondità di questo programma, basti dire che gli ultimi tre cerchi sono descritti mediamente in 80 parole ciascuno…
In ogni caso, al di là appunto delle banalità e di un genericissimo elenco di intenti (sostanzialmente relativi a dimensioni d’intervento territoriale via via più ampie), l’unico elemento maggiormente sostanziato è un progetto denominato Ventuno, e da realizzare in collaborazione con la Fondazione Morra Greco (“sul modello MoMA PS1”!…). Progetto che a sua volta dovrebbe articolarsi in mostre ed eventi, residenze ed educational.
Insomma, se il buon giorno si vede dal mattino…

La questione del nuovo Direttore, infine, dovrebbe essere risolta attraverso un bando pubblico, pubblicato lo scorso luglio. Si può, ovviamente, discutere sui termini del bando, ma il fatto stesso che sia stato scelto questo strumento è comunque un fatto positivo. Come dicevo, speriamo che, come in tante squallide storie di coppia, l’ex non si metta di traverso per il puro gusto di far dispetto. É altresì chiaro che la scelta del vincitore, affidata ad una commissione composta dai membri “in carica” del Comitato Scientifico e del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Donnaregina, sarà determinante per il futuro del Museo.
Vittorio Sgarbi, nel suo intervento su Repubblica, ha lanciato una proposta concreta, affidare la direzione all’attuale Direttore del CAM, Antonio Manfredi. Si tratta, chiaramente, di un endorsment non da poco, soprattutto considerato il peso del critico nel mondo del centro-destra. Personalmente, ritengo che Antonio farebbe bene a partecipare al bando, e che abbia tutti i requisiti per tentare un rilancio del MADRe. In ogni caso, non saranno pochi i nodi da sciogliere, a cominciare appunto dal rapporto con la Morra Greco.

Rimane – non posta ancor più che irrisolta – la questione della funzione del Museo, e quindi del modello museale verso cui dovrebbe orientarsi. Come ho detto, il nuovo verso cui si orienterebbe la Regione Campania è in realtà tanto vago quanto vecchio.
E se, allora, proprio su questo si aprisse il dibattito? Se si mettessero in campo delle idee, se si aprisse un ragionamento pubblico e partecipato, per definire – davvero – a cosa serve un museo d’arte contemporanea oggi, e quindi come e con chi debba essere progettato e costruito? Se provassimo a mettere intorno ad un tavolo tutti gli attori del mondo dell’arte e della cultura, pubblici e privati?
Anche a costo di sentire pure delle sciocchezze, le solite lamentele o proposte stravaganti, ma con l’impegno di starsi ad ascoltare (senza le veloci passerelle cui ci hanno abituato i nostri rappresentanti istituzionali) e la volontà di arrivare ad individuare un percorso davvero nuovo. Con pazienza e determinazione, le idee emergono comunque.
Per provare ad uscire dai confini asfittici di questo dibattito, potrebbe essere la mossa del cavallo.

Buon compleanno, ‘rivoluzione’!

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Un anno. Ieri la Giunta De Magistris ha compiuto il suo primo anno d’età. Ovviamente – e forse anche giustamente, o quantomeno prevedibilmente… – la rivoluzione arancione si è persa per strada.
Non ci sono stati grandi festeggiamenti, per celebrare la ricorrenza, ma anche questo, in fondo, ha una sua logica. Anzi, piuttosto che di celebrazioni, il Sindaco ha scelto il primo anniversario della sua elezione per parlare ufficialmente di rimpasto. In effetti, tutti danno per scontato che ci sia, ma dopo il congresso provinciale del PD (a metà luglio). Perchè in base agli equilibri che verranno fuori da lì, si determineranno le facce con cui il Partito Democratico – con SEL al seguito… – entrerà in Giunta.
Due rimpasti in vista, dunque? Difficile. Più probabilmente, il Sindaco ha voluto cogliere due piccioni con una fava: togliersi un sassolino dalla scarpa, lanciando un monito agli assessori più ostici, e preparare mediaticamente il terreno al rimescolamento che si profila, con l’ingresso della sinistra in maggioranza ed in giunta.
Staremo a vedere.
Difficile comunque non cogliere l’occasione per un primo bilancio dell’operato arancione – sotto il profilo delle politiche culturali, ovviamente. Le aree su cui l’azione – o la non-azione… – dell’amministrazione comunale si è contraddistinta, a mio avviso si possono riassumere in pochi capitoli. Innanzi tutto, il Forum Universale delle Culture. Quindi, il teatro, l’arte contemporanea. Più un’appendice sulla declinazione dei beni comuni.

Per quanto riguarda il teatro, a parte qualche piccola conflittualità con la Regione Campania sul Teatro Mercadante – che tra l’altro a me pare molto di facciata – non mi sembra si possa segnalare un intervento incisivo, da parte del Comune. Il Teatro di Città (Mercadante e San Ferdinando) rimane in mano alla gestione De Fusco, che dirige anche il Napoli Teatro Festival Italia, entrambe con il medesimo stile improntato all’egocentrismo, all’interesse personale. (Da ultimo, a conferma del monopolio defuschiano garantito dalla Miraglia, gli è stata affidata anche la direzione del World Urban Forum di settembre!…)
Si è data ospitalità ai lavoratori dello spettacolo, riuniti in assemblea permanente presso il PAN, ma poi non si vede quali interventi concreti abbia sviluppato l’amministrazione – sia per il teatro di tradizione, che per quello d’innovazione. E se è pur vero che alcune realtà non dipendono dal Comune, un Sindaco ed una Giunta autorevoli, nella propria città, contano anche quando le decisioni formali spettano ad altri. Così c’è un Nuovo Teatro Nuovo in crisi profonda, un Trianon abbandonato a se stesso, un San Ferdinando esposto ai raid dei teppistelli del quartiere…
E mentre il Teatro Festival fagocita ingenti risorse regionali (11 milioni di euro, elargiti dall’assessore Miraglia al suo protegé solo per la fase di accompagnamento al Forum!), la scena napoletana boccheggia.

La 'rivoluzione arancione' è ancora 'piccirella'...

La ‘rivoluzione arancione’ è ancora ‘piccirella’…

Sul capitolo arte contemporanea, ancora una volta risalta più il non fatto. Mentre il MADRe si avvita in una crisi (forse) esiziale, strangolato da un violento spoiling system e da una drastica – e spesso strumentalmente manovrata – riduzione dei fondi, il silenzio dell’amministrazione comunale è assordante. Anzi, all’ombra di questo silenzio, il Comune ha pensato bene di togliere al Museo la disponibilità dell’adiacente chiesa di Donnaregina Vecchia, per darla invece alla Curia di Napoli…
Contemporaneamente, il CAM di Casoria, una realtà comunque importante sul territorio metropolitano,  rischia concretamente la chiusura, senza che nessuno – a Palazzo San Giacomo – abbia la sensibilità ed il fiuto politico di cogliere l’occasione, di farsi avanti ed offrire uno dei tanti spazi comunali in disuso – l’ex-Ospedale Militare ai Quartieri Spagnoli, per dirne uno…
Per non parlare ovviamente del PAN, ormai tornato ai peggiori standard dell’amministrazione Iervolino, ridotto a mero contenitore praticamente di tutto ciò che capita.
Beh, quasi tutto, visto che è stata respinta la richiesta di tenervi una performance teatrale, tratta dal ‘Il Casalese’, libro scritto a più mani sulla figura di Nicola Cosentino…
Proprio sul PAN, tra l’altro, che dovrebbe rappresentare il fiore all’occhiello delle scelte artistiche del Comune, ho avviato un sondaggio per raccogliere le idee che vengono dal mondo culturale e dalla città – visto che l’amministrazione non sembra averne…
Intanto in città, ormai lontana anni luce dall’epoca di Lucio Amelio, molte importanti gallerie chiudono, o si trasferiscono altrove. Sempre nell’opaco silenzio che promana da Palazzo San Giacomo.

Del Forum Universale delle Culture, ho persino pudore a scriverne. É senz’altro il caso emblematico, il paradigma assoluto dell’incapacità di affrontare le questioni culturali, se non in una grossolana prospettiva di grandi eventi – e gestendo tutto male persino in quella. Dopo una lunga, quanto indecorosa trafila di errori, lo stato dell’arte vede il commissariamento della Fondazione, con l’ipocrita ratio formale di “ripristinare la regolare attività dell’ente”, ma che in realtà dovrà semplicemente consentire alla Fondazione stessa (titolare della concessione del marchio Forum) di essere traghettata verso la liquidazione. E sarà interessante, al riguardo, vedere come si regolerà il commissario (e quindi, di fatto, Sindaco e Presidente della Regione) rispetto ai debiti accumulati dalla Fondazione stessa nei confronti di numerosi artisti ed operatori culturali napoletani…
La struttura monocratica (un uomo solo al comando…) che dovrà sostituirla ancora non c’è, né – ovviamente – c’è alcuna trasparenza riguardo a chi ne sarà il dominus. Si vocifera il nome di Alessandro Puca, un commercialista. Se così fosse, è evidente che scegliere di porre alla guida della struttura un professionista senza alcuna specifica competenza nel settore artistico-culturale, nè nel management organizzativo, lascia spazio al sospetto che – dietro – si profilerà un governo ombra
Comunque sia, il 10 aprile 2013 dovrebbe iniziare il Forum, e la Regione non ha ancora deliberato lo stanziamento di 15 milioni di euro di cui si parla (e che costituiscono appena il 10% dei 150 inizialmente previsti). Senza quella delibera, tra l’altro, non è possibile avviare i bandi per la partecipazione dal basso della città. Quei bandi che – Sindaco dixit – avrebbero dovuto essere pubblicati lo scorso aprile; fui facile profeta nel prevedere che si sarebbe risolto nel classico pesce d’aprile
Apparentemente ulteriore prova di incapacità delle amministrazioni locali, ma forse non solo quello. Per dirla con le parole dell’assessore Miraglia, “ridurremo il programma, ridiscuteremo i tempi e le idee”; insomma, con la scusa dell’emergenza imposta dai tempi stretti (e facendo finta di non sapere che l’hanno determinata loro, con la propria insipienza), il Forum sarà un’altro grande evento calato sulla città, e per di più alquanto raffazzonato.
Non a caso, in un recente sondaggio organizzato da la Repubblica, con 386 voti è proprio il Forum a piazzarsi al secondo posto tra le cose che i napoletani non approvano (dopo la vicenda ASIA – Raphael Rossi).

In qualche modo legata al Forum, la vicenda dell’ex-asilo Filangieri, sede della Fondazione. Occupato dal collettivo La Balena, col placet del Sindaco, che ha cavalcato l’azione per accellerare la smobilitazione della Fondazione, ed ammiccare all’anima movimentista della sua base elettorale, è nei giorni scorsi diventato oggetto di una delibera che, sottraendolo definitivamente alla Fondazione (adesso quindi priva anche di un ufficio…), lo assegna ad un uso pubblico, definendolo (parole dell’assessore Lucarelli) “luogo con utilizzo complesso in ambito culturale, (che) punta a garantire, attraverso l’accessibilità e la fruizione del bene ai lavoratori dell’immateriale, il diritto fondamentale alla cultura, intesa quale bene comune”.
Questa delibera, apparentemente destinata a sancire l’occupazione in atto, apre in realtà una fase ben più complessa. L’amministrazione, infatti, cerca di tenere insieme ruoli diversi, e non facilmente compatibili: da un lato, una vocazione politica a sostegno delle battaglie sui beni comuni, dall’altro i vincoli che una pubblica amministrazione ha nei confronti delle leggi e dei cittadini tutti. É ovvio che il processo che si apre, e che dovrà definire tempi e modi di attuazione concreta della delibera, non potrà portare ad un affidamento dell’ex-asilo, sic et simpliciter, a La Balena, ma dovrà prevedere molteplicità di accesso e pluralità di gestione. Insomma, un (altro) conflitto all’orizzonte…

Quale, dunque, il bilancio di questo primo anno? Sul piano delle politiche culturali, non s’è vista alcuna rivoluzione. Anzi, non s’è visto proprio nulla. Se non i clamorosi disastri intorno al Forum delle Culture.
Si predica la partecipazione, ma si pratica il decisionismo. Si innalza il vessillo della democrazia e dei beni comuni, per poi rivendicare una prassi monocratica.
Nessun intervento, nessun idea, che segnali la concreta volontà – e l’effettiva capacità – di promuovere una politica culturale purchessia. Colpevole silenzio su molte questioni aperte. Di investimenti, neanche a parlarne.
Insomma, questo primo anno dalla rivoluzione arancione, almeno per quanto riguarda l’Arte e la Cultura, suggella l’assoluta inadeguatezza dell’amministrazione.
Come sempre, le rivoluzioni non possono venire dall’alto, ma devono nascere dal basso. Dobbiamo farcela da soli, la nostra rivoluzione culturale.
Che qua, più che epigoni di Masaniello, sembrano esserci quelli del Federico Cafiero di facite ammuina

Cercasi futuro

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Non soffro (credo) di provincialismo. Non ritengo che Napoli sia un luogo senza speranza, destinato ad un eterna e caotica marginalità, e per sua intrinseca natura; né credo che sia, per converso, il posto più bello del mondo.
É una città complessa, in un paese complesso. E certo la congiuntura internazionale non l’aiuta.
Pure, mi sembra possibile e necessario pensare – e costruire – una normalità altra. Si continua a ragionare in termini di straordinarietà – positiva o negativa poco importa – senza rendersi conto che in tal modo si allontana la possibilità di restituire alla città, ed a chi ci vive, una dimensione quotidiana caratterizzata dalla normalità. Lo straordinario (extra-ordinario, al di fuori dell’ordinario) non può essere la dimensione del vivere corrente.
E ovviamente, questo è un criterio che vale per ogni aspetto della vita sociale.
Gli ultimi anni di amministrazione del centro-sinistra, sono stati anni di abbandono. Che hanno prodotto una reazione di rigetto non a caso del tutto particolare. Se l’esperienza di governo della coalizione di centro-sinistra appariva in molti luoghi come fallimentare, o quantomeno assai deludente, la stagione del cambiamento che si è aperta un’anno fa, soprattutto a Milano, Napoli e Cagliari, qui ha assunto forme particolari.
A Milano come a Cagliari, due personalità diverse, ma entrambe provenienti dal mondo della sinistra, sono riuscite a coagulare intorno alla propria persona – e quindi, anche intorno alla propria coalizione politica – quella speranza di cambiamento. Sia Pisapia che Zedda avevano ed hanno comunque alle spalle due partiti ben radicati nel territorio, e – pur con tutti i propri limiti e difetti – dotati di una rete di competenze ed esperienze amministrative.

Ciò che è accaduto a Napoli, invece, è profondamente diverso.
Qui, i partiti della sinistra non avevano alcuna figura spendibile. E non a caso si sono arravogliati in una scandalosa guerra civile interna, impudicamente chiamata primarie. Il fallimento profondo dell’esperienza di governo locale, ha talmente depauperato questi partiti da lasciarli attoniti di fronte all’onda del cambiamento. Ancora adesso, ad un anno dalle elezioni amministrative, non si sono ripresi.
Intendiamoci, non che la condizione del PD, di SEL o della FdS mi appassionino più di tanto. Me ne occupo solo per i risvolti che tutto ciò ha sulla politica cittadina.
E c’è un nodo, centrale sotto molti aspetti, che a questo attiene. La desertificazione e lo sbandamento della sinistra, infatti, non solo ha prodotto l’eccezione napoletana (la vittoria di un outsider come De Magistris), ma ha portato con se il naturale corollario di un Sindaco col vuoto alle spalle.
Nè l’IDV né la lista Napoli è Tua, com’è noto, hanno in città un radicamento reale – né tantomeno un background di esperienze amministrative.
In questo quadro, il Sindaco ha scelto la via più facile (apparentemente), ma anche a lui più congeniale. Ha deciso di costruire la scommessa amministrativa centrandola sulla sua persona, e quindi inevitabilmente su un rapporto diretto, populistico, con la cittadinanza, che passa per un forte accentramento – simbolico e sostanziale.
Ma, com’è noto, in questa sede io mi occupo – e mi preoccupo – di politiche culturali. E qui, quindi, che mi interessa capire dove casca l’asino.
Una delle promesse elettorali dell’attuale Sindaco, fu la conclamata intenzione di fare della Cultura uno dei cardini dello sviluppo futuro della città. Ma i fatti seguiti a quella promessa sono pressoché inesistenti – e quei pochi, assai deludenti…
C’è tutta la vicenda del Forum Universale delle Culture, su cui il Sindaco ha molto esercitato questa sua prerogativa (ne detiene tuttora la delega), ma con risultati tragi-comici. Senza stare qui a riepilogare tutta la triste istoria, di cui del resto ho qui abbondantemente trattato, l’esito finale verso cui si sta andando è che, dopo aver mandato all’aria il pochissimo che si era costruito in passato, dopo aver buttato via un’altro anno di tempo, il Forum sarà costruito come un grande evento collage, senza alcuna effettiva capacità di incisione, e soprattutto senza alcun percorso di partecipazione condivisa nella città. Il tutto, con la scusante che “ormai non c’è più tempo…”.
É questo l’esito, del tutto prevedibile, di un approccio caratterizzato dalla più totale approssimazione, sposata ad un esercizio decisionista del potere. Ed alla faccia della tanto predicata partecipazione

Napoli Galleria

Napoli Galleria

Al di là di questo comunque clamoroso spreco di una straordinaria opportunità, c’è tutta intera la totale mancanza di una politica culturale in città. Non un centesimo, né un idea. Il nulla.
Nonostante un discreto feeling con il Presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, il Sindaco non è riuscito ad incidere in alcun modo sulle decisioni – di spesa, e non solo – operate in città dall’assessore regionale Caterina Miraglia – la quale, del resto, si muove in totale autonomia, evidentemente garantita ben altrove che nei corridoi di Santa Lucia… Con il risultato che quest’ultima sta incidendo sulla realtà culturale della città (molto male, inutile dirlo) ben al di là di quanto non riesca alla Giunta Comunale.
E non c’è solo la vicenda del Forum, basti pensare alla questione del Teatro Mercadante, o del Trianon, per non parlare del Napoli Teatro Festival (come e quanto peseranno, gli 11 milioni di euro che la Miraglia ha elargito a De Fusco?).

Ho avuto modo di scriverlo più volte, su questo blog. Quando c’è disponibilità di cassa, si può in qualche modo coprire la mancanza di idee. Ma quando i denari mancano, avere delle idee è fondamentale.
Napoli è una città ricchissima di Arte e di Cultura, non solo come patrimonio storico, ma anche e soprattutto come tessuto connettivo che attraversa il corpo vivo della città. A questo, non si sta offrendo altro che piccoli palliativi, la cui inconsistenza appare sempre più evidente. Non emerge alcuna prospettiva, di alcun genere. E questa situazione sta ormai diventando intollerabile, dopo l’estate potrebbe esplodere davvero in clamorose forme di rottura, incrinando quest’immagine apparente di ampio consenso, ed insinuando un cuneo tra la città e le istituzioni comunali.
Credo che questo sia un pericolo reale, perchè in questa fessura potrebbero insinuarsi forze reazionarie, di cui purtroppo Napoli non difetta, per riportare indietro l’orologio.

Allora, credo sia giunto il momento di dire con chiarezza alcune cose. Che hanno un senso ed un valore assolutamente politico, senza in alcun modo attenere ad una sfera di giudizi personali.
La città di Napoli non ha alcuna politica culturale, perchè non c’è chi è in grado di immaginarla e costruirla. Perchè chi dovrebbe non lo fa.
É un compito non facile, lo riconosciamo, ma va assolto. E quando non si è in grado di assolvere il proprio compito, quali che ne siano le ragioni, lo si riconosce e ci si fa – coerentemente – da parte.
Credo, tra l’altro, che un gesto di coerenza e dignità renderebbe onore quanto meno all’impegno profuso (che, per quanto dai risultati inadeguati, indiscutibilmente c’è stato). Molto meglio che esser messi, da parte.
Oltretutto, mi sembra sia chiaro che questo cambio sia ineluttabile, ed anche alquanto prossimo.
Come cittadino e come operatore culturale, mi sento di chiedere che, innanzi tutto, ciò avvenga in modo trasparente.
E mi aspetterei anche che la scelta cadesse su qualcuno in grado di interpretare i bisogni culturali della città. Non ci serve un professore, ma qualcuno capace di entrare in empatia con le forze, soprattutto giovani, che spingono sia la domanda che l’offerta culturale. Qualcuno che abbia la sufficiente autonomia, per potersi confrontare ed impegnare, nel necessario dialogo con il mondo delle arti e della cultura. Non un vecchio cacicco della politica, né qualcuno che pensi di guidare questo mondo come fosse un direttore d’orchestra. Qualcuno che sappia ascoltare, e sappia dare risposte. Che sappia fare sintesi, e costruire relazioni, ed inventare opportunità.
Possibilmente, che abbia anche meno di quarant’anni. Chè non si può affidare la costruzione del futuro a chi non ne ha.

Hasta siempre, Cumannant’…

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Qualche giorno fa, sulle colonne di Repubblica, Giuseppe Guida faceva una condivisibile analisi sui limiti che caratterizzano la città di Napoli, rispetto a sé stessa. Il suo intervento, molto opportunamente intitolato “Una città che non ha un’idea di se stessa”, era in effetti incentrato prevalentemente sugli aspetti urbanistici, ma comunque coglieva l’essenza di un problema che va oltre questa dimensione. Scrive Guida che la città dovrebbe avvertire l’esigenza – e la classe dirigente dovrebbe coglierla – “di reimmaginare e di riscrivere il proprio pensiero sulla città del futuro, i modelli della crescita urbana, soprattutto ridefinire l’immagine che la propria città dovrebbe avere tra vent’anni” (la sottolineatura è mia). Questa considerazione, nella sua essenziale semplicità, ci fa balenare agli occhi un dato di straordinaria evidenza, che pure siamo adusi a non cogliere. La classe dirigente napoletana (tutta intera), certo non da sola, e certo non da oggi…, è incapace di avere una visione di lungo periodo. Il suo orizzonte è tragicamente limitato. E questo limite si manifesta non solo nella incapacità di immaginare un processo di trasformazione non episodico e non a breve, ma ancor più nella incapacità di incardinare questo processo nei tempi e nei modi necessari perchè arrivi a termine. Questo significa fondamentalmente accettare l’idea che tale processo deve essere largamente – e convintamente – condiviso. Non può né essere calato dall’alto sulla città e sui cittadini, ma anzi li deve deve vedere partecipi attivi e propositivi, né fondato su un’idea di parte, perchè altrimenti sarebbe destinato ad essere accantonato ad ogni cambio di maggioranza amministrativa. Non c’è progetto vero e serio di cambiamento, che possa essere realizzato compiutamente nell’arco di un quinquennio. Occorre quindi che sia assicurato l’impegno continuato, indipendentemente dai mutamenti politici, per perseguirlo; obiettivo questo che può essere ottenuto soltanto se è la città, nella sua interezza, a sentire suo il progetto. Per fare ciò, la classe dirigente – la Politica innanzi tutto – deve saper indicare delle direttrici di massima, e fornire i dati reali, su cui fondare il dibattito pubblico. Che non può essere confuso, né tanto meno aggirato, con un assemblearismo populistico, dove l’applauso sostituisce la discussione ed il confronto. Perchè se è grazie alla politica di corto respiro che Napoli (l’Italia tutta) galleggia da decenni, in balia del caso e senza alcuna rotta, la soluzione non è certo in un nuovo decisionismo, nel leaderismo peronista, purché di segno diverso da quello del ventennio passato.
La partecipazione, è la chiave. Ma richiede tempi lunghi, incompatibili con la fretta dei partiti e dei leader politici, in perenne cerca di risultati visibili da spendersi per la propria riconferma.

Intanto, archiviata questa prima tornata di America’s Cup, l’unico orizzonte di dibattito che si offra alla città è: ztl si o no? Una questione che, come ho già avuto modo di dire, posta in questi termini si colloca impropriamente. Perchè, pur essendo un tema di grande rilevanza – e di grande impatto sulla vita quotidiana dei cittadini – appare decontestualizzato; la zona a traffico limitato non è, non può essere, fine a se stessa. Di là dalla sua importanza come strumento di conversione ad un modello eco-compatibile di città, e come strumento simbolico di riappropriazione del territorio, si avverte fortemente la necessità di collocarla nel quadro di un progetto di città futura che, invece, non si vede e non c’è.
In ogni caso, com’era prevedibile, la Coppa America si è lasciata alla spalle uno strascico di polemiche, in ordine ai risultati conseguiti.
Dopo i trionfalismi iniziali, persino gli attori più coinvolti ed esposti mediaticamente – l’industriale Graziano, presidente della società di scopo ACN, ed il Sindaco Luigi De Magistris – hanno corretto il tiro, riconoscendo (sia pure solo in parte, ed attribuendone la responsabilità alla società di gestione americana) la sussistenza di problemi che, inevitabilmente, impatteranno sulle ricadute previste. A conti fatti, sono stati spesi circa 20/25 milioni di euro, per la quasi totalità pubblici, a fronte di una kermesse che – nel breve periodo – certamente non ha prodotto grandi risultati; non di flussi turistici, non economici, e alla fin fine neanche d’immagine.
Paradossalmente – ma anche significativamente… – sul piano mediatico ha funzionato molto più efficacemente, ma proiettando al contrario un immagine negativa, il rogo delle opere d’arte del CAM. A dimostrazione del fatto che, nella comunicazione, i risultati sono proporzionali alla forza del messaggio, ben più che al capitale investito.

Il Comandante Guevara - quello 'vero'...

Il Comandante Guevara - quello 'vero'...

Rimane comunque il problema di comprendere se questa operazione, che teoricamente avrebbe dovuto avere molte chance a proprio favore, produrrà o meno dei risultati che giustifichino la spesa pubblica.
Per fare questo, però, è necessario che si attivino percorsi e strumenti di valutazione. É quanto chiede insistentemente l’associazione NapoliPuntoaCapo – dalla quale per molti versi, ed in molte occasioni, mi sento distante – che molto correttamente pone il problema. Senza però trovare, nelle istituzioni pubbliche, alcuna sponda. Peraltro, va detto che questa sordità è significativamente bipartisan: se, infatti, da un lato l’amministrazione comunale è quella che più si è spesa mediaticamente l’evento, è l’amministrazione regionale ad aver speso concretamente la stragrande maggioranza della cifra impegnata – e dunque dovrebbe essere la prima a dar conto di questa spesa.
Beh, possiamo scommettere che questa valutazione non si farà.
Non solo e non tanto perchè, con ogni probabilità, scoprirebbe gli altarini, svelando lo scarto tra i risultati previsti e sbandierati e la realtà effettuale. Quanto perchè costituirebbe un precedente pericoloso. La classe dirigente napoletana, infatti, come del resto tutte le classi dirigenti di questo paese, vede come una minaccia l’idea di veder sottoposte a verifica – in termini concreti, reali – le proprie scelte ed il proprio operato. Che, in ultima analisi, significa esser chiamati a render conto di come si è gestita la cosa pubblica.

Ancora una volta, quindi, siamo di fronte ad una classe dirigente che ama gli onori, ma rifugge gli oneri – o quanto meno, le responsabilità. Una classe dirigente, senza alcuna distinzione politica tra destra e sinistra, che si rivela sempre più non all’altezza dei compiti. Ed interessata prevalentemente a tutto ciò che restituisce visibilità mediatica, che concentra su se stessa i riflettori dell’attenzione pubblica.
A tal proposito, basti pensare che – ad esempio – la Giunta Regionale di Stefano Caldoro ha approvato è stanziato, in un batter d’occhi, 20 milioni di euro per l’America’s Cup (un evento durato complessivamente una decina di giorni, e che ne durerà altrettanti nel 2013), mentre a tutt’oggi non ha ancora approvato la delibera per il finanziamento di 15 milioni, previsto per il Forum Universale delle Culture, in programma da anni e che dovrebbe durare oltre 100 giorni! Il tutto, mentre il suo assessore Caterina Miraglia assegna al Napoli Teatro Festival, diretto dal suo protegé De Fusco, ben 11 milioni di fondi europei…
Tutto ciò, se da un lato rivela un disinteresse che rasenta il boicottaggio, nei confronti del Forum, dall’altro ha delle ricadute concrete ed immediate. Il mancato stanziamento, infatti, blocca di fatto la possibilità di indire i bandi pubblici per la partecipazione al Forum da parte degli operatori artistici e culturali della città. E delle due l’una: o alla Regione Campania del Forum non gliene frega niente, o non sono proprio in grado di comprendere cosa significhi organizzare seriamente un evento del genere.
Dal canto suo, l’amministrazione comunale continua a sorprendere per la sua straordinaria leggerezza dell’essere.
Dopo una gestione che più estemporanea non si può della Fondazione Forum – prima affidata al cantautore Roberto Vecchioni, poi al Capo di Gabinetto del Sindaco, Sergio Marotta, quindi alfine affossata in quanto d’improvviso la si scopre inefficace – sta puntando adesso al medesimo modello gestionale della Coppa America: accentramento sul Comune di Napoli della struttura operativa, lasciando alla Regione Campania l’onere della spesa. Dei quindici milioni previsti, infatti, ben 12 andranno a Napoli, che li gestirà autonomamente.
Tra l’altro, non si capisce per quale motivo per l’America’s Cup andava benissimo la società di scopo, in cui erano presenti tutti gli attori (Regione, Provincia, Comune, Unione Industriali), mentre per il Forum la società di scopo già esistente (la Fondazione, appunto), bene non va, e bisogna smantellarla.
L’ultimissima boutade – e speriamo sia davvero solo e soltanto tale – in merito al Forum, è che il Sindaco avrebbe pensato di offrire la Direzione Artistica dell’evento a Camilo Guevara, ultimogenito del Che. Se fosse vera, questa notizia sarebbe la prova definitiva dell’improvvisazione, della inconsapevolezza, della superficialità e dell’incompetenza con cui a Palazzo San Giacomo si affronta il problema.
Non si può giocare con la città – e con i fondi pubblici – come se nulla fosse. Non si può continuare ad offenderla.
Il Forum Universale delle Culture può e deve essere un passaggio fondamentale nel processo partecipato, che definisca – nel confronto con se stessa e con il resto del mondo – la propria idea di sviluppo, la Napoli futura.
Per favore, non lasciamo a pazziell mman’e criature…