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Posts Tagged ‘Caterina Miraglia

Mi piacerebbe…

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Mi piacerebbe che qualcuno – serio ed affidabile, sotto ogni punto di vista – facesse un sondaggio in città, intervistando cittadin* e turist*, e ponendo loro tre semplici domande: sapete cos’è il Forum Universale delle Culture? sapete che si sta svolgendo a Napoli? avete partecipato anche ad uno solo degli eventi programmati?
Temo che le risposte sarebbero spaventosamente sconfortanti, ed inchioderebbero tutta la filiera dei responsabili all’evidenza di questo colossale fallimento. Tutti. Da Caldoro a De Magistris (1 e 2), dalla Miraglia a Di Nocera e Daniele, da Puca a Pitteri.
Credo che poche altre cose come questa, attestino l’assoluta insipienza delle classi dirigenti locali, che nel caso delle nuove si somma ad una plateale incompetenza. Pure, il fallimento era talmente annunciato, che non fa nemmeno scandalo. Alla fine si saranno buttai al vento 11 milioni di euro, per una serie di manifestazioni che, soprattutto per responsabilità di chi ne ha curato nel tempo la gestione, hanno coinvolto quasi sempre quattro gatti. E tutto questo, mentre si fa una lotta selvaggia contro gli sprechi tagliando a destra e a manca, e colpendo invece servizi essenziali come la sanità ed il trasporto pubblico. E sarà già tanto se anche questa insignificante kermesse non lascerà uno strascico di debiti non pagati. C’è chi attende da anni il pagamento di fatture, da parte della Fondazione Forum…
Non è un caso che alcuni eventi, annunciati con gran clamore – Fura dels Baus, Womad… – siano scomparsi dalla programmazione appena i relativi responsabili si sono resi conto di cosa rischiavano.

Matera Capitale Europea della Cultura 2019

Matera Capitale Europea della Cultura 2019

Cosa si muova, e come, dietro questi grandi eventi, sta venendo fuori in questi giorni a proposito della America’s Cup. Ne emerge uno spaccato di interessi privati, di favoritismi, di piccole meschinità, che anche se non sempre hanno rilevanza penale sono comunque sintomatici di un clima, di una modalità comportamentale. Perchè anche se fin troppo spesso si fa un uso peloso del richiamo al garantismo, con ogni evidenza la questione non è mai meramente giudiziaria. C’è – ci sarebbe… – una non meno importante questione di etica pubblica. Rispetto alla quale il richiamo difensivo alla formale liceità diventa un paravento intollerabile. Ma che si fa forza della garanzia di impunità, stante la mancanza d’ogni possibilità sanzionatoria.
C’è una sottocasta, una frotta di valvassini (rossi, azzurri o arancioni…) che sguazza nel sottobosco della politica e delle pubbliche amministrazioni, e che in un modo o nell’altro continua comunque a galleggiare, sfruttando il cono d’ombra della casta. Se non si procede ad un risanamento anche a questi livelli, ad una bonifica del sottobosco, difficilmente si arriverà mai ad una pubblica amministrazione sana, trasparente ed efficace, in grado di rispondere positivamente ai bisogni pubblici, non a quelli privati.

Eppure, non sarebbe stata impresa impossibile, fare un Forum – a Napoli – davvero universale. Piuttosto che questa semiclandestina serie di fatti e fattarielli.
Basta andare in questi giorni al Teatro Augusteo, vedere la sala piena come ogni anno di un pubblico attento, per capire come la città, se giustamente informata, sappia rispondere con entusiasmo al richiamo di un’offerta culturale di rilievo. Eppure Artecinema non dispone certo di undici milioni di euro… Ma dispone certamente della passione e della intelligenza di chi ci lavora.
O basterebbe guardare a come Matera, una cittadina del sud sperduto e marginale, abbia saputo costruire negli anni un percorso che l’ha portata poi a vincere il titolo di Capitale Europea della Cultura 2019. Mi chiedo se qualcuno – tra i tanti che hanno gestito il Forum napoletano – ha mai pensato di conoscere e studiare le best practices seguite in altre città per organizzare e gestire eventi di questo tipo. Se qualcuno, con un po’ d’umiltà, l’avesse fatto, forse oggi non saremmo di fronte a cotanto fallimento.
Passato quest’annus horribilis, del Forum non rimarrà traccia alcuna. Nessuna ricaduta positiva sulla città e sui napoletani, né in termini di crescita culturale né in termini di crescita economica.

Mi piacerebbe che qualcuno – serio ed affidabile, sotto ogni punto di vista – facesse un’inchiesta giornalistica su questo. Che invece di mettere sotto il mirino i (pur veri) difetti dei napoletani, mettesse in luce limiti ed errori (a dir poco) dei pubblici amministratori. Mi piacerebbe una puntata di Report dedicata al Forum delle Culture, piuttosto che alla pizza, al Rione Traiano o a Genny a carogna.
Mi piacerebbe che la città avesse uno scatto d’orgoglio, e riuscisse a manifestare la propria stanchezza, la propria indisponibilità ad accettare rassegnatamente il declino, quasi fosse scritto nel suo DNA.  Mi piacerebbe non tanto l’ennesima discesa in campo della società civile, che il più delle volte, alla prova dei fatti, s’è rivelata peggiore di chi voleva emendare, quanto un nuova capacità di inchiodare la politica alle sue responsabilità. Mi piacerebbe che si esercitasse una pressione, e che questa pressione determinasse l’emergere di candidature credibili, sia per il rinnovo del Presidente della Regione che per il Sindaco di Napoli.

Mi piacerebbe, ma non ci credo.

Invettiva

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Alla fine, la montagna partorì il topolino.
Dopo infinite vicissitudini – laddove per infinite non si intende solamente innumerevoli, ma proprio che non sono finite… – lunedì 18 novembre si inaugura il Forum Universale delle Culture 2013. Il cerimoniale prevede il taglio del nastro da parte del Sindaco, al Teatrino di Corte di Palazzo Reale. E già risalta la scelta felicissima, che proprio di un teatrino si tratta. Insieme a De Magistris, ci saranno anche Caldoro, Nino Daniele, Caterina Miraglia, Mireia Belil da Barcellona e Alessandro Puca. Invitati di rango, il Sindaco di Barcellona Xavier Trias i Vidal de Llobatera, il Presidente UNESCO Giovanni Puglisi, il Presidente del Consiglio Enrico Letta ed il Ministro Massimo Bray. Alla fine, pare che Al Pacino abbia rinunciato a cotanto onore…
Dopodiché, tutti alla Mostra d’Oltremare per un paio di concertini, quindi cena di gala.
Nessuna notizia riguardo uno straccio di programma. Il più grande evento culturale (?) della città, almeno da vent’anni a questa parte, comincia tra poco più di una settimana, e non si sa nulla di cosa proporrà. Un esempio da manuale di come non si fa promozione turistica della città.
Nessuna notizia dei bandi per la partecipazione da parte degli operatori culturali napoletani, ripetutamente promessi da Pinocchio. Pare siano stati banditi. Nel senso di messi al bando, ovviamente…
O meglio, secondo quanto trapela sulla stampa cittadina, il 18-19-20 del mese ci sarà un’incontro aperto tra l’amministrazione comunale ed “i potenziali attori del territorio” (sic!); a quel punto, via ai bandi. Cioè, a Forum iniziato (mica prima, no…) l’amministrazione si degna di incontrare gli operatori della città (esattamente quando? dove? chi è stato invitato? mistero glorioso…), e poi (poi???) arriveranno alfine anche i bandi. Per il Forum del 2017, si suppone.

La strana coppia...

La strana coppia…

“Il problema è avere occhi e non saper vedere”, diceva Pier Paolo Pasolini. Ed è francamente incredibile come, a fronte di questo vergognoso disastro, non sia in corso una rivolta civile della città, o quantomeno di quanti operano in campo culturale. Possibile che nessuno veda la macroscopica evidenza di cotanto malgoverno? O forse la rassegnazione prevale a tal punto da renderci tutti ciechi e/o insensibili?
Dove sono rintanati, gli intellettuali napoletani? Cosa fa la stampa cittadina, a parte una asettica e rarefatta cronaca degli accadimenti?
Niente. Nemmeno una sterile jaquerie anticasta, per lo sperpero annunciato di altri 11 milioni di euro.
Nè, da parte della strana coppia Caldoro-De Magistris, si è sentito un accenno di scuse, un’onesta ammissione degli errori commessi.
Niente di niente. Incapacità e protervia sono un’altra bella coppia…
Si dice spesso che la classe dirigente è lo specchio della società; anche se questa affermazione a me è sempre sembrata un po’ un comodo alibi, avrà pure un suo fondo di verità. Ma è pur sempre come dire che è la domanda a fare il mercato. É vero, ma è anche vero che la domanda può essere indotta, e poi sostenuta. Non è un fenomeno naturale, che accade spontaneamente. Se, quindi, questa classe dirigente è il riflesso di questa società, è anche vero che quest’ultima è stata largamente – e lungamente – corrotta dalla prima.
Certo è che un’altra brutta coppia, si aggira per strade e vicoli di Napoli: lamentazione ed inazione.

Sentivo sere fa, nel corso di Servizio Pubblico di Michele Santoro, un servizio su alcuni giovani italiani emigrati a Londra. Ad un certo punto, una ragazza ha detto una frase che – credo – ha colpito tutti, nella sua essenzialità; dopo aver raccontato come si sia spesa per cercare di cambiare le cose in Italia, ha poi detto di aver rinunciato ed essere andata via, “perchè anch’io ho diritto ad un po’ di felicità”. Magari in Italia la felicità non è un diritto costituzionale, come negli Stati Uniti, ma “almeno un po” tutti ne vorremmo. E se non c’è possibilità di averla qui, si andrà a cercarla altrove.
Ecco, il rischio è quello di una tragica emigrazione emozionale. Non c’è solo la fuga dei cervelli, a cui peraltro comincia nuovamente ad assommarsi quella delle braccia; anche chi rimane fisicamente, va via col cuore. La speranza ha sempre meno cittadinanza, qui ed ora.
Ma questo galleggiare nella rassegnazione, non mi dà pace. Si prenda posizione. Si scelga. Si agisca.
O si ritiene che la battaglia per il cambiamento è sconfitta in partenza, ed allora si vada via, a cercare altrove il riconoscimento dei propri diritti, della propria porzione di felicità.
Oppure si faccia qualcosa, qui, adesso; si ingaggi battaglia con le forze della conservazione e dell’infelicità, si tolga spazio ai venditori di fumo vecchi e nuovi.
Lasciarsi vivere, è sempre la peggiore delle scelte. Significa comunque condannarsi al ruolo di eterni spettatori, mentre altri imbandiscono lo spettacolo – e le cene di gala.
Andare avanti così non ha alcun senso. “Indignez-vous!”, tuonava l’ultranovantenne Stéphane Hessel. Possibile che Napoli, una delle città più giovani d’Italia, debba tacere ancora?
E che cazzo!

Acqua fritta

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Non è colpa dell’odiata Juventus, e nemmeno del Toro, ma Torino batte Napoli 3 a 0.
Non è successo al San Paolo, anche se Napoli giocava in casa; teatro della debacle è stato invece il Plart, il Museo della Plastica, ospite dell’incontro/confronto tra le due città sul tema “investire nella cultura per cambiare la città”. L’idea – alquanto impietosa, diciamolo… – era quella di mettere a confronto le esperienze della città della Mole con quelle partenopee, ovviamente intorno al tema proposto, nella speranza appunto che dal confronto nascessero spunti e suggerimenti per intraprendere un percorso virtuoso anche a Napoli. Naturalmente, non perchè qui abbiamo l’anello al naso… ed infatti, l’approccio (credo) generale, sia da parte degli organizzatori che del pubblico accorso, non era quello di chi si appresta ad ascoltare il verbo.
Il presupposto era – appunto – di confrontarsi con l’esperienza torinese, di ragionare sul metodo e sui risultati, ma avendo ben chiaro che il confronto non era con un modello perfetto, ma solo con una best practice. Anzi, forse semplicemente una better practice. Va beh, diciamola tutta: anche solo una practice era comunque un passo avanti…
Insomma, si scendeva in campo sapendo di fare la parte dello sparring partner, ma con l’intenzione di non sfigurare troppo, e far tesoro della lezione appresa.
Mal ce ne incolse.

Campioni mondiali di buchi nell'acqua...

Campioni mondiali di buchi nell’acqua…

La squadra torinese, giocava a tre punte: Maurizio Braccialarghe, assessore alla cultura del comune di Torino, Evelina Christillin, ex-Presidente Esecutivo del Comitato Promotore Torino 2006 e Vice Presidente Vicario del Comitato per l’Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali, e Fiorenzo Alfieri, promotore del Piano Strategico della città.
La squadra del ciuccio, sarebbe stata invece rappresentata da Caterina Miraglia, assessore regionale alla cultura, e gli assessori comunali Nino Daniele – cultura – e Carmine Piscopo – urbanistica.
Seduto dunque in curva, mi son goduto l’esibizione della squadra ospite, cui spettava il calcio d’inizio. A parte qualche momento di melina, e qualche accenno di personalismo, una buona partita: gioco di squadra, precisione da professionisti, fantasia e coraggio… E già lì, penso: qui non finisce niente bene… Ed infatti, come dicevo, è finita 3 a 0.
Perchè l’esperienza che ci son venuti a raccontare dal Piemonte ha fatto segnare tre goal praticamente a porta vuota.
Il primo risultato, significativo, è venuto appunto dal gioco di squadra. Il focus del racconto torinese è stata l’organizzazione dei Giochi Olimpici Invernali del 2006: come è nata l’idea della candidatura, come è stata costruita, come si è realizzato l’evento. Tutta la narrazione corale di questa impresa, parlava della capacità fondamentale di mettere a sistema una rete di relazioni tra le istituzioni pubbliche, e tra queste ed i privati. E di cui, nel modo di passarsi palla ancora adesso, tra i tre intervenuti, è risultata evidente la traccia.
All’opposto, la squadra napoletana ha mostrato plasticamente (forse in omaggio al luogo…) il proprio scollamento. I tre invitati torinesi sono venuti tutti, dal Piemonte. I nostri hanno dato forfait in due su tre. Perchè chi ben comincia è a metà dell’opera…

Un secondo goal è arrivato, facile facile, nel raffronto – ovvio, persino in qualche modo suggerito – tra i Giochi Invernali ed il Forum delle Culture: pur nella diversità di contenuto, infatti, è evidente che in entrambe i casi si tratta di importanti manifestazioni (non episodiche) destinate ad avere forte impatto sulla città, ed in qualche misura ad indurre un processo di trasformazione della stessa.
Bypassando la valutazione sugli esiti (il Forum grazie al cielo non c’è ancora stato…), il racconto di come la città di Torino abbia affrontato – a partire dalle amministrazioni pubbliche – la costruzione di un percorso, che è arrivato a mettere insieme centinaia di realtà associative ed imprenditoriali, lascia basiti – se confrontato con il grande nulla che caratterizza il modo in cui gli amministratori napoletani stanno ancora affrontando il Forum.
L’ultimo, incomprensibile, atto di questa tragica telenovela è la delibera regionale sull’assegnazione dei fondi destinati al Forum. Annunciata innumerevoli volte, è arrivata alfine pochi giorni fa, ribaltando clamorosamente quanto era stato sostenuto fino a pochi giorni prima: destinatari del finanziamento, infatti, non sono più la Fondazione (per gli 11 milioni destinati a Napoli) e la SCABEC (per i 5 milioni destinati ai siti UNESCO), ma direttamente i Comuni. Pare che quest’esito sia da attribuire al prevalere della volontà dell’assessore Miraglia, sino all’ultimo contrastata dal Capo di Gabinetto della Presidenza Danilo Del Gaizo.
Al momento, non è dato sapere né le ragioni dello scontro, né cosa produrrà la delibera così concepita. Ma non si può non registrare come questo continuo zig-zag contribuisca, non solo al pubblico disorientamento, ma anche a rallentare e confondere il percorso verso il Forum.
Il fatto è, ancora una volta, che questo non è che un sintomo di quella assoluta mancanza di una visione globale sulla città, di cui parlo da tempo (ed ormai non più solo, pare: “Quello che emerge è un vuoto di iniziative e di idee che non va imputato esclusivamente a chi si trova, attualmente, alla guida della città. Non risulta che imprenditori, sindacati e mondo dell’ università e della ricerca abbiano dato contributi significativi in tal senso”, Paolo Frascani, la Repubblica).

Ma se Torino partiva con l’indubbio vantaggio d’avere non solo portato al successo i Giochi, ma di poter anche vantare la rinascita della città seguita all’evento, ci si sarebbe aspettati almeno che, da parte napoletana, fosse un fiorire di prospettive, di programmi, di idee per il futuro…
Intendiamoci, ben conoscendo la situazione sapevo che non c’è nulla di tutto questo: ma insomma, almeno un buon bluff  me lo sarei aspettato…
E invece, il 3 a 0 è arrivato facile. Mentre il pubblico napoletano, ormai stanco di essere rappresentato (e governato) così, si alzava in rivolta.
Si dice che a Napoli sanno friggere il pesce con l’acqua, per descrivere la capacità non solo di arrangiarsi, ma anche di saper fare bene – pur senza ingredienti apparentemente essenziali. Probabilmente in virtù di ciò, i napoletani sembrano essere un tantinello troppo indulgenti, nei confronti di tanti cuochi improvvisati. Ma a tutto c’è un limite. Che si provi a vendere come piatto del giorno l’acqua fritta (senza pesce), è decisamente intollerabile.
Nei giorni scorsi, ancora sulle pagine di Repubblica, Domenico De Masi – richiamando il suo intervento all’incontro del marzo 2012 al Caffè Gambrinus – oltre a rammentare al Sindaco tutto ciò che sarebbe stato necessario fare per costruire un buon Forum (e di cui ovviamente nulla è stato nemmeno tentato), racconta un episodio a latere di quella sera: “alla mia esposizione dettagliata il sindaco rispose che, data la scarsità di mezzi e di tempo, egli si accollava in prima persona tutta la direzione dell’evento. Così dicendo, cacciò dalla tasca un vistoso ‘cuorno’ di corallo e disse che avrebbe compensato con questa protezione escatologica la sua incompetenza in materia di eventi culturali.”
Ecco, in questo breve brano c’è davvero tutto.
Non ci resta che fare gli scongiuri.

L’impossibilità di essere normale

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Scusate il ritardo. L’appuntamento settimanale arriva stavolta quasi 48 ore dopo il solito, perchè sono stato a Barcellona per la terza edizione di Videoakt. Si tratta di una biennale di videoarte, e com’è noto questo è ciò di cui mi occupo. Il viaggio è stato anche occasione per alcune riflessioni, che più da vicino riguardano i temi usualmente trattati su questo blog; anche se non mi è stato possibile, purtroppo, incontrare Mireia Belil – Directora della Fundaciò Forum – per via degli impegni legati alla biennale.
Questo collegamento, ovviamente, è stato ed è per me il primo che mi viene in mente: Barcellona è la città catalana in cui è nato il Forum, Napoli è la città che dovrebbe ospitarne la prossima edizione. E quanto il condizionale sia ormai d’obbligo, è inutile sottolinearlo.
Fare un viaggio fuori dai confini nazionali, per chi vive a Napoli, è comunque altamente sconsigliato. Credo che questa sia un’esperienza comune a molti dei lettori del blog, e quindi conto sulla complicità allusiva del “io so che tu sai che io so”… tale esperienza, infatti, porta invariabilmente a porsi la (fatidica) domanda: “perchè qui no?”
L’impossibilità di essere normale, che un po’ contraddistingue tutta l’Italia, notoriamente in questa città raggiunge la sua apoteosi. Ed appare pienamente, appena si ha modo di fare raffronti.
Non sono tra quanti si lasciano facilmente incantare dalla superficie delle cose, né tanto meno penso che altrove sia il paradiso terrestre. Ma indubbiamente anche un breve soggiorno in una città normale vale a sottolineare tutta la differenza con la nostra, anormale, città.
C’è talmente tanta radicale diversità – strade pulite, traffico scorrevole, mezzi pubblici ottimi, ampia offerta culturale, buona organizzazione dell’accoglienza… – che alla fine prevale lo sconforto, la rassegnazione all’idea che “qui no”, qui non si può. Ma poiché non si può sempre fuggire, non si può vivere galleggiando su fondali sempre diversi, radicarsi significa anche – almeno per me – non rinunciare mai alla pretesa di un vivere civile; e dunque, di amministratori in grado di garantirla.

Da loro il 'modernismo', da noi il 'passatismo'...

Da loro il ‘modernismo’, da noi il ‘passatismo’…

Lasciando Napoli alla volta della capitale catalana, ho fatto il percorso inverso delle preoccupate missive che la Fundaciò di Barcellona ha inviato ai nostri amministratori pubblici. Per quanto, comprensibilmente, il dialogo istituzionale abbia sempre prevalso, alla fine le fondate preoccupazioni in merito alla edizione 2013 del Forum Universale delle Culture – più volte espresse anche su questo blog – hanno fatto breccia anche lì, e così è arrivata la formale richiesta di chiarimenti. Il 7 giugno scorso, il Sindaco Xavier Trias i Vidal de Llobatera ha scritto al Sindaco De Magistris per avere una risposta precisa in ordine a “contenuti del programma, sedi, calendari”. Difficile immaginare cosa abbia ufficialmente risposto il Comune di Napoli, visto che di tutto ciò non vi è assoluta contezza. Certo è che alla prima ha fatto seguito una seconda comunicazione, in cui la Fundaciò sottolineava: “non possiamo continuare ad accettare la procedura imposta unilateralmente da Napoli”. Considerata l’estrema disponibilità sinora mostrata da parte catalana, questo richiamo e questo deciso stop danno la misura di quanto sia stata tirata la corda. Ma ciò che appare sconcertante è invece la reiterazione (da parte dell’amministrazione comunale) di un atteggiamento che attinge al peggior stile politichese; l’assessore Daniele, infatti, ha prontamente replicato affermando che “i dubbi espressi dalla fondazione catalana sono stati dissipati. Tra poco avremo la delibera della Regione con i fondi e pubblicheremo i bandi”. Incredibile come si possa dire tanto (o tanto poco…) in solo una ventina di parole.

Forse l’assessore non sa che i famigerati bandi sono stati annunciati e promessi ormai tante di quelle volte, da avere ormai la credibilità del proverbiale al lupo, al lupo! Forse né lui né il Presidente Caldoro (o la collega Miraglia) sanno spiegare come mai questa mitologica delibera somigli sempre più all’araba fenice. Né si capisce come l’ennesima ripetizione di vuoti annunci, possa dissipare i dubbi di Barcellona, che tra l’altro chiede certezze, dati di fatto (cosa, dove, quando).
Per tacere del fatto che, quand’anche stavolta agli annunci corrispondessero i fatti, non si capisce come sia possibile (con quale serietà) organizzare un evento di tale portata, che deve svolgersi entro l’anno, quando a luglio ancora non c’è nulla! Non solo la delibera sui fondi, o i bandi per le iniziative dal basso. Non c’è alcun programma, non c’è alcuna chiarezza sulle procedure di assegnazione degli appalti per i servizi e la logistica, non c’è un organigramma di chi si assumerà l’onere di selezionare i progetti, di chi dirigerà la complessa macchina che dovrà gestire l’evento. Non c’è nulla. Se non la stratosferica, evidente inadeguatezza degli amministratori locali. E mi si passi l’eufemismo.
Più che per il Forum Universale delle Culture, sembra si stia lavorando per l’International Clown Festival

La Fondazione napoletana, nel frattempo, si trasferisce al PAN, lasciando i locali dell’ex-asilo Filangieri. Lavori di messa in sicurezza, dicono. Padroni del campo restano i non-occupanti del collettivo La Balena. Che per parte loro, con mossa forse non proprio felice, dopo aver per mesi ribadito urbi et orbi che a loro non fregava niente del Forum, ecco che organizzano un’assemblea per discutere di “trasparenza ed equità nella gestione e distribuzione dei fondi pubblici” del Forum stesso – dando ovviamente adito, a quanti pensano che ciò prefiguri un’interesse diretto nella distribuzione, di malignare un po’ al riguardo. Come dire, pane e companatico
Intanto, poiché non vogliamo farci mancare proprio niente, la magistratura ha cominciato ad indagare anche sul Forum.
Non saremo la capitale del modernismo, ma anche noi abbiamo i nostri vanti. Amministratori così ce li invidiano pure a Bujumbura.
Ma niente paura, anche se tarda l’estate arriverà. Sdraio ed ombrelloni costeranno magari un euro meno della scorsa stagione, e così potremo felicemente dimenticare – almeno per un po’. Persino questo blog, tra qualche settimana, si prenderà una pausa (quanto basta per non divenire insopportabile persino ai suoi pochi lettori).
Sfortunatamente, al ritorno troveremo sempre la stessa anomalia partenopea, ad attenderci. Quindi un consiglio: quest’estate non andate in vacanza all’estero, il ritorno potrebbe produrvi uno choc anafilattico.

Barattoli di Merda

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Incredibile a dirsi, c’è ancora chi ci crede. Nostro Signore dei Magistri, l’oracolo di San Giacomo, continua a fare annunci puntualmente smentiti dai fatti, eppure ancora adesso c’è chi se la beve. La lista è talmente lunga, che si rimane sopraffatti dalla noia già solo a ricapitolarla mentalmente. L’ultima in ordine di tempo era il (più volte annunciato) rimpasto di Giunta: sarebbe dovuto esserci ieri (10 maggio), ma ovviamente si è perso nelle nebbie… A dire del Nostro, ci sarebbe una lunga fila scalpitante, che non brama altro che l’onore di far parte della sua compagine; dev’essere quindi l’imbarazzo della scelta, che frena la decisione…
Di certo, nessuno oserà pensare che il rimpasto non quaglia perchè l’obiettivo del Nostro rimane sempre lo stesso (entrare nel Grande Gioco nazionale della politica), e per questo, dopo il clamoroso flop di Rivoluzione Civile, ha bisogno di riagganciare in qualche modo il centro-sinistra; un obiettivo, però, che cozza contro le resistenze del PD e di SEL ad entrare nella sua Giunta, con l’inevitabile prospettiva di fare soltanto da portatori d’acqua. Con la sinistra napoletana, i rapporti non sono mai stati idilliaci, sin dalla campagna elettorale. E lui non ha mai fatto mancare i suoi fendenti, nei confronti delle passate amministrazioni; cui ancora adesso, a due anni dall’elezione al soglio di San Giacomo, continua ad attribuire tutti i mali della città. La sua unica interlocuzione rimasta era con Pierluigi Bersani, che sfortunatamente per lui è stato travolto da un paio di tsunami successivi.
Ecco dove nasce il tête-a-tête con Andrea Cozzolino. Come ultimo tentativo di aggirare le resistenze del (o meglio, nel) PD. Interlocutore perfetto, visto che questi, a sua volta, non vede l’ora di poter rimettere in moto i consolidati meccanismi legati all’esercizio del potere locale, indispensabili nel momento in cui la competizione sul/nel PD campano si fa forte, il partito continua a perdere consensi, e soprattutto è andato perso il legame antico con Bassolino.
Certo, lui è quello che aveva detto “mai con Cozzolino!”; ma non vorrete stare a sottilizzare? Non starete mica a remare contro, insieme ai poteri forti, nevvero?

Magnifica metafora di come stiamo messi...

Magnifica metafora di come stiamo messi…

Comunque, mentre la città resta in trepidante attesa del lieto evento, cose accadono. No, no, non vi eccitate… mica il Forum delle Culture! Di quello, qualche giorno fa era stato annunciato urbi et orbi “ecco il programma”, ma questa non se l’era bevuta nessuno… si comincia il 4 di luglio, non penserete sul serio che il 4 maggio si conosca davvero il programma!… Come ci informa il sito web della Fondazione, sono in manutenzione
No, la novità viene dal MADRe, di cui si torna a parlare in termini programmatici, e non più (soltanto) polemici. Il museo di via Settembrini, infatti, ha presentato il programma del suo nuovo Direttore Andrea Viliani. Un programma che si è voluto proporre, anche da parte del Presidente della Fondazione Donnaregina Pierpaolo Forte e dell’assessore Miraglia, all’insegna di uno slogan accattivante: “la sovranità appartiene al pubblico”.
Naturalmente, questa sovranità non potrà che essere esercitata in modo mediato, e quindi – immagino – ciò significa che il museo riconoscerà al pubblico la titolarità più alta della propria attività. Il che porta però a due nodi successivi, dalla cui definizione molto dipenderà come questo intento programmatico verrà poi, nel concreto, declinato.
Il primo nodo, ovviamente, è la mediazione – innanzitutto culturale, artistica – che verrà esercitata dallo stesso Direttore.

Questo ruolo, infatti, implica non solo (e non tanto) un mediare passivo – l’essere strumento attuativo della sovranità del pubblico – quanto un mediare attivo – scegliere laddove si colloca il punto mediano tra quanto il pubblico desidera oggi, e quanto di più avanzato gli va proposto, in vista del domani. E qui siamo al secondo nodo. Cosa intendiamo, quando parliamo di pubblico? Ci si vuole riferire a chi frequenta il museo? Alla cittadinanza cui il museo fa riferimento, o ancora all’istituzione pubblica che lo rappresenta? La domanda non è da poco, e già solo tra i primi due possibili aspetti la differenza è profonda. Sarà bene, quindi, che il Direttore renda più esplicito il senso di questa affermazione; se, come ha detto, il pubblico è “il referente principale, vero e proprio co-autore del progetto museo”, vorremmo capire anche come queste belle intenzioni si traducono nel concreto. Senza assolutamente voler mettere in discussione l’effettiva volontà e buona fede, gli strumenti di cui si è parlato (l’accesso gratuito ad alcuni spazi, la lavagna dei suggerimenti, il sito http://www.youmadre.it – ancora inattivo – da dedicare al dialogo col pubblico) mi sembrano al momento più un ingenuo tentativo di entrare in connessione con una realtà in effetti sconosciuta.
Ci vorrà – temo – uno sforzo bel più ampio e profondo per rimettere in comunicazione il MADRe con la città di Napoli.

A margine di questa vicenda, sembra che l’antica passione cittadina per il cortile torni ad avere il sopravvento. Sembra infatti appassionare di più (l’immancabile) nuova polemica: la Fondazione Donnaregina ha diffidato Eduardo Cicelyn dall’usare il nome Casamadre per il suo nuovo progetto di galleria (ospitata negli spazi che furono di Lucio Amelio, di recente lasciati liberi da Alfonso Artiaco). A motivo della diffida, nelle parole dello stesso destinatario, sarebbe il fatto che “la parola ‘madre’ non sarebbe più disponibile sulla scena dell’arte napoletana”.
Com’è noto, ho più volte polemizzato su questo blog con Cicelyn. Ed una delle ragioni sta proprio in quello che mi appare un attaccamento morboso all’esperienza passata di Direttore del MADRe – per quanto sia difficile disconoscerne l’importanza che ha avuto nella sua storia personale. Difficile non pensare che la scelta del nome Casamadre sia dovuta a questo legame (“a pensare male si fa peccato ma di solito ci si indovina”, diceva il Divo…); del resto, lui stesso – nell’intervista rilasciata a Repubblica – parla di “andare incontro al futuro mantenendo lo sguardo rivolto al passato”. Il che mi sembra, di là dall’intenzione dichiarata, una voce dal sen fuggita… Ma ovviamente non è questo il punto. Francamente, la diffida in questione ha un sapore tra l’ingenuo ed il pervicace; tra l’illusione di poter espellere Cicelyn dalla scena, e la strenua volontà di ottenere ciò (in una guerriglia ormai francamente datata quanto superflua).
Se davvero si vuol continuare a tener viva questa querelle (ed in ciò, mi pare le parti si trovino entrambe…), lo si faccia in una aperta e tranquilla competizione. Oltretutto, la disparità di mezzi e di ruolo essendo tutta a vantaggio del diffidante

Se, invece, ci si vuole confrontare nel merito delle questioni (e qui mi riallaccio a quanto scrivevo prima), torna utile l’ennesima stoccata dell’ex-Direttore: “chi si occupa d’arte nel nostro tempo deve avvertire la responsabilità del proprio impegno culturale, ma deve anche ricordare che non ci si può nascondere dietro le indicazioni del pubblico: la forma è l’unica morale dei linguaggi ed è il luogo che genera gli artisti”. Sono in campo due visioni opposte, e non sarebbe male si aprisse un confronto su questo, piuttosto che eludere la sostanza per concentrarsi sulle persone. E possibilmente un confronto pubblico, che abbia quindi tutti i requisiti per definirsi tale: che si svolga sulla scena pubblica, che non sia esclusivo, che abbia come faro l’interesse generale, che non contempli risentimenti ed ostilità personali. E che non sia mero pour parler, che produca esiti concreti.
Anche perchè magari poi si scopre che tanto opposte non sono.
Napoli sta inguaiata, cerchiamo di risparmiarci almeno l’inutile. Proviamo ad uscire dal barattolo in cui ci hanno cacciato; la puzza di merda, alla lunga, soffoca.

Così è, se vi pare

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Il prossimo 4 giugno, prenderà il via il Napoli Teatro Festival 2013. Il Direttore De Fusco, nel presentarlo insieme al Presidente della Fondazione Campania dei Festival, l’assessore regionale Caterina Miraglia, mena vanto delle produzioni con attori e registi di fama internazionale, e lancia una bordata contro il Sindaco e la giunta comunale, affermando che “il Comune dovrebbe essere contento: a giugno doveva esserci il Forum delle Culture, del quale non sentiamo più parlare, non abbiamo più notizie. Invece ci sarà il festival”. Il festival, aggiunge, costerà quest’anno solo 4 milioni, a fronte dei 6 della scorsa edizione; e non ci sarà più il raddoppio a settembre. Quel che i due omettono di dire è che il NTF non paga da anni attori e tecnici che hanno lavorato alle produzioni delle edizioni precedenti. Che è stato citato in giudizio per questo da alcuni grandi nomi del teatro internazionale. Che in passato, e con i soldi del Festival, il Direttore De Fusco ha realizzato una sua produzione, costata 500.000 euro (e che, oltre il danno la beffa!, trattavasi de L’Opera da Tre Soldi…) Che De Fusco agisce in regime di monopolio semi-padronale, essendo anche Direttore dello Stabile napoletano (Mercadante e San Ferdinando), e che il teatro napoletano è ormai agonizzante. Che l’assessore Miraglia è un mirabile esempio di invadenza della politica, essendo al tempo stesso ai vertici dell’istituzione politica e degli organismi operativi che ne dipendono (ragion per cui, in assoluta solitudine, continuo a ritenere e chiedere che dovrebbe dimettersi). Quanto alla frecciatina sul Forum, peraltro fondata, nasce forse dalla delusione: la gestione del Forum nei siti regionali UNESCO, infatti, è stata sino all’ultimo in ballo tra la Fondazione diretta dal De Fusco e la SCABEC, la società partecipata che ha la gestione del Museo MADRe, e che si è infine aggiudicata la commessa (5 milioni di euro…).

Il teatro napoletano grida vendetta...

Il teatro napoletano urla vendetta…

D’altra parte, a 10 giorni dall’incontro con i rappresentanti della Fundaciò di Barcellona, che avrebbe dovuto essere nelle parole del Sindaco il punto di svolta, rimane il silenzio più totale. Nessuna comunicazione ufficiale sul programma, nessuna notizia dei bandi. L’assessore Di Nocera, ancora all’inizio del mese, nel corso delle Giornate x la cultura, ha ribadito la sua presa di distanza da un evento che la vede totalmente esclusa; mentre il referente ufficioso-ufficiale, Claudio De Magistris, fratello del Sindaco, tace.
Il Forum, si dice, comincerà a luglio, quando la città sarà presumibilmente boccheggiante per il caldo estivo; e si svolgerà prevalentemente all’interno di spazi chiusi, come la Mostra d’Oltremare e l’area ex-NATO a Bagnoli. Insomma, una scelta strategica geniale, perfetta per puntare al massimo coinvolgimento della città…
Così alla fine, i nostri solerti amministratori, dopo aver fatto e disfatto di tutto, in una cosa sembrano essere riusciti: snaturare completamente il Forum.
Quella che avrebbe dovuto essere, infatti, una grande manifestazione culturale, con un forte impatto strutturale, una larga partecipazione dei cittadini, ed una ricaduta positiva duratura, si preannuncia come l’ennesimo grande evento, una serie di spettacoli – magari anche di grande impatto – il cui target sarà inevitabilmente turistico. Ancora una volta, quindi, si sceglie la strada peggiore: usare Napoli come scenografia prestigiosa, con notevoli costi a carico della collettività e profitti per pochi. Una logica, forse inconsapevolmente, neo-borbonica.

Gli spazi pubblici del Comune, dal Maschio Angioino a Castel dell’Ovo al PAN, nella prospettiva della messa a reddito, sono ormai del tutto privi di una qualsivoglia parvenza di identità. Del resto, nel momento in cui si è operata la scelta di privilegiarne l’uso sulla base della possibilità di spesa dei proponenti…
Città della Scienza, almeno per la parte a mare, andata distrutta nell’incendio, si ricostruirà a Bagnoli. Ma, con uno di quei compromessi all’italiana, che son peggio di qualsiasi soluzione netta, pare si voglia… lasciare invariato il varco d’accesso, ma spostare i padiglioni in posizione diversa rispetto a quella pregressa!
Il complesso conventuale di San Domenico Maggiore, da poco riaperto dopo un lungo ed oneroso restauro, e per il quale si ipotizzava la destinazione d’uso a Museo della Musica – tanto che se ne parlò anche come sede della raccolta De Simone – sembra non si sappia più cosa farne. Come a dire che si degraderà lentamente, senza manutenzione ordinaria, utilizzandolo occasionalmente per gli eventi più disparati.
E Palazzo Fuga, lo splendido Albergo dei Poveri, con il suo restauro interrotto a metà, che domina la piazza come la facciata di una scenografia di cartone, in attesa di un film che non verrà mai girato…
Ed il complesso dell’ex-Ospedale Militare ai Quartieri Spagnoli, altro restauro senza alcun seguito…
A Napoli, per dire che di qualcosa ce n’è in abbondanza, si usa la locuzione se ne cade… E mai come adesso, è sembrata pienamente calzante.

La città si spegne, lentamente, di un’agonia infinita di cui lo stato della cultura e dei beni culturali è paradigma. E intanto, cerusici si affollano intorno senza costrutto.
Così è, se vi pare.

Perchè no.

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Detesto cordialmente il pregiudizio. Ma riconosco che difficilmente se ne rimane immuni, e talvolta fondatamente.
La scorsa settimana avevo scritto delle Giornate x la cultura organizzate dall’assessore Di Nocera, e lo avevo fatto non nascondendo il mio scetticismo al riguardo. Ciò nonostante, sono andato a seguirle, cercando di vedere ed ascoltare sgombrando il campo da ogni possibile pre-giudizio. E di sicuro, non ho difficoltà ad ammetterlo, alcune cose mi hanno colpito positivamente. Ma il bilancio rimane negativo. E per più di una ragione.
Ragioni che proverò qui a riassumere, “per chi l’ha visto e per chi non c’era” – per dirla con Ivano Fossati…
Riportando prima, però, le voci positive – che tanto si fa in fretta – di cui prima dicevo.
Ho apprezzato l’organizzazione, sobria ma efficiente. Ho trovato ben fatta la scelta degli interventi delle plenarie (Salvatore Settis, Aldo Masullo, Paolo Macry, Tomaso Montanari). Mi ha confortato, per altri versi, la mancanza di lamentazioni negli interventi del pubblico – quasi inevitabili, in situazioni del genere. E che testimoniano di un clima comunque positivo che, intorno alle Giornate, era stato creato.
E naturalmente, ho molto gradito l’incursione di Daniel Pennac, nel corso dell’ultima giornata, con le sue argute considerazioni.
Ma, per quanto mi sforzi, davvero qui si esaurisce il computo delle note positive. A mio avviso, ovviamente.

No. Non ci siamo...

No. Non ci siamo…

Quello delle note negative, ahimé, è ben più denso.
Cominciamo dalla scelta dei tempi. Nella sua relazione introduttiva, l’assessore ha ricordato che “le Giornate le ho pensate verso la fine dell’anno scorso”; ma questo conferma la valutazione negativa, rispetto al fattore tempo. Se, infatti, la ragion d’essere delle Giornate era l’ascolto, si sarebbero dovute tenere al più tardi a fine 2011, a non più di sei mesi dall’insediamento della nuova amministrazione. Sarebbe stato un modo per inaugurare una diversa stagione di rapporto tra operatori culturali ed istituzioni, e forse sarebbe servito ad ascoltare le storie e le idee di chi nella cultura lavora, traendone spunto per delineare le politiche d’intervento della Giunta. L’ascolto, quindi, sarebbe ora quanto meno tardivo.
Ma, nelle parole dell’assessore, non c’è stato nemmeno un bilancio di mid-term della propria gestione. A quasi metà sindacatura De Magistris – ammesso che duri tutti e cinque anni… – non una parola per dire abbiamo fatto questo e quest’altro, abbiamo avviato questo processo, puntiamo a questo risultato… É che, implicitamente, questa omissione segnala un dato reale: nulla è stato fatto, nulla è stato avviato.
La relazione introduttiva di Antonella Di Nocera è stata ricca di spunti personali, di riferimenti a ben note situazioni napoletane (dall’insulae di San Domenico Maggiore, che ospitava il convegno, a Palazzo Fuga, al teatro San Ferdinando, a Castel Nuovo, Città della Scienza…), e di molti desiderata finali. Ma se dovessi dire che sia emersa anche solo una traccia di politiche culturali, non saprei proprio dove trovarla.

Nonostante gli interventi di apertura, da parte dei succitati ospiti, siano stati interessanti (per quanto già noti, nella sostanza e nelle argomentazioni, e pur assolutamente condivisibili), inevitabilmente questi si sono rivelati inadatti a sollecitare ricadute effettuali immediate. Nè poteva essere altrimenti, poiché – appunto – i temi in essi affrontati erano tutti di ordine generale. Un’ottima cornice, ma che di per sé non poteva determinare il quadro. Il risultato dei tavoli di lavoro, quindi, almeno per quanto desumibile da un primo report fatto dai vari facilitatori, non ha prodotto sostanziali novità, né i vari elementi sono apparsi inquadrati in un progetto organico, o che andasse oltre il cosa (si vorrebbe), provando ad esplorare il come (realizzarlo).
Peraltro, alcune delle idee emerse dal lavoro dei tavoli erano state, anche su questo blog, avanzate più di un anno fa. E non lo dico per rivendicare primogeniture, quanto piuttosto per sottolineare che se davvero si volesse dare ascolto…

Non meno significativo mi appare che, come del resto qualcuno ha sottolineato dalla sala, non si può venire a dire “quell’altra bellissima parola: sinergia. Il concetto più importante: fare rete”, e poi svicolare dinanzi alla contestazione che sono proprio le istituzioni a non farlo. Perchè non ha molto senso dire “li abbiamo invitati, non sono venuti”, riferendosi agli assessori regionali. Il coordinamento tra le istituzioni è qualcosa che va ben al di là dell’invito a presenziare ad un convegno! É – o meglio, dovrebbe essere – una modalità operativa, a cui si sarebbe dovuto mettere mano, ostinatamente se necessario, già due anni fa. Del resto, gli ottimi rapporti che intercorrono tra il Sindaco ed il Presidente Caldoro potrebbero essere utilizzati per qualcos’altro che non sia l’organizzazione di grandi (?) eventi, come ad esempio la costituzione di un tavolo di lavoro congiunto su alcuni grandi temi – trasporti, turismo, cultura… E dico questo senza nulla togliere alle responsabilità della Giunta regionale campana, e dei singoli assessori – di cui peraltro, a cominciare dall’assessore Caterina Miraglia, ho più volte chiesto le dimissioni.

Ancor più significative, mi sono sembrate le assenze e le omissioni. Ho seguito per intero la prima giornata, e buona parte di quella conclusiva, e per quanto la presenza fosse sempre abbastanza numerosa (dalle 150 persone dell’apertura alle 100 della chiusura), ho potuto constatare le numerosissime assenze. Sono davvero innumerevoli i volti (a me) noti, e dei settori più disparati, che non ho visto nemmeno affacciarsi per dare un’occhiata. Segno che, pur riconoscendo la bontà delle intenzioni, c’è una buona fetta di operatori culturali napoletani ormai sfiduciati, che nulla si aspettano più dalle istituzioni. E che non si recuperano al dialogo con un convegno siffatto.
Ho trovato significativo che nessuno facesse cenno alla questione dell’ex-asilo Filangieri, che comodamente il Comune preferisce lasciare nel cono d’ombra in cui si trova, prolungando l’equivoco status quo ed al tempo stesso tenendosi le mani libere per un eventuale cambio di strategia nei confronti degli occupanti.
Ho trovato indecente il palleggio tra assessore e sindaco sul tema del Forum Universale delle Culture. Antonella Di Nocera, che al Forum ha dedicato le ultime parole del suo intervento, ha detto: “Non mi occupo del Forum direttamente, ma ho sempre espresso il mio parere sul Forum, che doveva essere un processo da costruire con la città e con i cittadini. Ora bisogna pretendere e lavorare affinché duri la sua eco, che sia qualcosa che resta alla città in termini reali e non una serie di eventi. Un programma unitario, che la Fondazione dovrà gestire e che Barcellona dovrà accettare: un format Napoli, una manifestazione articolata che ha capacità di coinvolgimento diffuso e sostanziale delle energie creative, dei giovani, dei territori e che persegue l’obiettivo di consolidare in modo condiviso progetti e talenti che esistono.” Dopodichè, ha passato la palla al Sindaco, presente al suo fianco, rinviando a lui il compito di parlarne. Ma se è pur vero che l’assessore è stata sin dal primo momento esclusa dal Forum, che senso ha adesso, a pochi giorni dal (presunto) inizio, parlare di “un processo da costruire con la città e con i cittadini”?

Dal canto suo, il Sindaco ha superato se stesso in spudoratezza. Nel corso del suo intervento, infatti, si è limitato a dare certezza (?) che i fondi ci sono. Non una parola di più. Salvo poi, a latere e conversando con i giornalisti, avere il coraggio di affermare abbiamo salvato il Forum“! Lui, l’artefice primo del disastro, colui il quale ha fatto e disfatto tutto ed il contrario di tutto, portandoci ad una situazione che, a pochi giorni dal (ribadisco: presunto) inizio del Forum, si presenta caratterizzata dalla più totale incertezza, ha pure la pretesa di presentarsene come il salvatore! Aggiungendo “si utilizzeranno fondi europei che fino all’ultimo centesimo andranno agli operatori culturali della città”. Bene, gli chiederemo conto anche di questa affermazione, a bocce ferme.
Cito ancora una volta Antonella Di Nocera, la quale ha affermato che “primo tra i compiti della politica è affermare un’etica della responsabilità.”
Sarebbe bene che lo rammentasse al Sindaco, per il quale questa è sempre di qualcun’altro (chi lo ha preceduto, i poteri forti, chi rema contro…). E magari anche a se stessa.
Perchè se la crisi che stiamo vivendo, come Paese ma ancor più come città, è così profonda e drammatica quale lei stessa l’ha tratteggiata, occorre affidare l’amministrazione a chi ha la capacità di affrontarla, e l’onestà di assumersene la responsabilità. La buona fede e le buone intenzioni non bastano, tantomeno la presunzione.
Aria nuova, prima che sia troppo tardi.

Assafà!…

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Qualunque cosa vi aspettiate, da martedì prossimo scoprirete che non è avvenuto nessun cambiamento epocale, tra domenica e lunedì. Non ci sarà non perchè sia mancato il coraggio a qualcuno, ma – più semplicemente – perchè le nostre aspettative, e/o le nostre paure, possono influenzare la nostra percezione della realtà, ma ben poco quest’ultima. Anche solo per rendere l’Italia un paese europeo (nel banale senso di civilmente vivibile), ci vorrà ancora molto tempo; e nella migliore delle ipotesi, in questi giorni si aprirà tutt’al più una possibilità, di intraprendere questo cammino. Ma in ogni caso, qualcosa di buono verrà, con la nuova settimana. Tanto per cominciare, ci saremo lasciati alle spalle una delle più brutte campagne elettorali che la storia di questo Paese ricordi. Mai così povera di contenuti, mai così densa di insulti, mai così sguaiatamente urlata. Cosa ancor più importante, riporterà tutti noi alla giusta dimensione delle cose: le elezioni, sono solo uno dei modi in cui i cittadini esprimono la propria partecipazione alla vita pubblica. Certo, la due giorni elettorale avrà ancora una coda lunga, se ne continuerà a parlare a lungo, in televisione, sui giornali, al mercato… ma – credo – in ogni caso i cittadini tireranno un sospiro di sollievo, augurandosi che, chiusa la fiera delle parole, si torni finalmente ai fatti.

Dopo-voto

Dopo-voto

Da martedì, dunque, potremo – e dovremo – tornare ad occuparci dei problemi reali, perchè non è nei due giorni precedenti che avremo esaurito la nostra parte. E qui a Napoli, di problemi con cui confrontarci non ne mancano di certo. Tanto per dirne una, c’è la ferita aperta del teatro – e dello spettacolo dal vivo in genere – che rischia di fare cancrena, se non sarà affrontata – ed opportunamente curata – in tempi brevi. Che Napoli, con la sua straordinaria tradizione teatrale, si trovi oggi a vivere questa condizione di decadenza, è davvero indegno. Ma, nonostante le mobilitazioni dello scorso anno, e gli appelli più recenti, sembra che non si riesca ad uscirne – anzi, sembra di scorgere segnali di un ulteriore avvitamento della situazione.

Apparentemente, ci sono sul tappeto due grandi questioni: il teatro di città, ovvero il Mercadante / San Ferdinando, ed il Napoli Teatro Festival. Indiscutibilmente due punti estremamente rilevanti, ma che in qualche misura rischiano – monopolizzando l’attenzione – di oscurare la dimensione più ampia del problema, e che riguarda tutto il teatro napoletano. Ho detto mille volte, nessuna nostalgia per il passato bassoliniano. Così come mille volte ho detto, a Cesare quel ch’è di Cesare. Ma di sicuro, la nuova stagione teatrale messa in scena dal centro-destra caldoriano, rischia di far rimpiangere il MinCulPop. Non si era mai vista, infatti, una così sfrontata occupazione politica degli spazi culturali – dall’assessore Caterina Miraglia che presiede in prima persona la Fondazione Campania dei Festival ed il Comitato Scientifico della (fu) Fondazione Forum delle Culture, al suo protegée De Fusco, che dirige ad un tempo il Napoli Teatro Festival ed il Teatro Mercadante, gestendoli come se fossero la sua casa di produzione ed il suo ufficio marketing… Sarebbe ora di cominciare a ragionare, invece, sul rovesciamento delle logiche che hanno sempre contraddistinto l’intervento pubblico (i finanziamenti), spingendo perchè vengano spostati dalle produzioni (con tutto l’ovvio margine di discrezionalità che porta con sè) alle infrastrutture di produzione. E sarebbe anche ora che, se del caso tirando per le orecchie la politica, si trovasse il coraggio e la forza di pretendere le dimissioni dell’assessore Miraglia. Che lasci la guida delle istituzioni culturali, o la poltrona da assessore. O meglio ancora, entrambe, visti i risultati.

Per non parlare poi delle arti visive contemporanee. Da tempo immemore non si vede in città una mostra veramente di rilievo, che faccia anche i numeri; a parte un timido riaffacciarsi del MADRe – che aspettiamo di vedere alla prova dei fatti, nei prossimi mesi – quel poco di interessante che si vede in giro viene dalle gallerie private. Segno evidente di una profonda distrazione dell’intervento pubblico, che invece proprio su questo terreno dovrebbe far valere il proprio peso.
E che dire del PAN, sempre più ridotto a grande contenitore comunale, senza alcuna identità, senza un riconoscibile senso di marcia… Più che delle Arti, Palazzo Roccella sembra essere l’host di quel che capita. Anche qui, segno evidente, non solo e non tanto della scarsità di risorse economiche, quanto di una profonda mancanza di idee. Davvero appaiono un ricordo lontano e sbiadito, gli anni di Lucio Amelio, quando Napoli era un polo d’attrazione internazionale per le arti contemporanee. E se la pagella della Regione Campania riporta un giudizio nettamente negativo, non è da meno quella del Comune di Napoli, cui a dir poco va attribuita l’insufficienza. Sarebbe il caso, anche a Palazzo San Giacomo, di considerare dignitose dimissioni…

Ma, ancora una volta, esempio paradigmatico dell’assoluta incapacità delle istituzioni pubbliche locali, nella gestione delle politiche per la cultura, è l’ormai fantomatico Forum Universale delle Culture. Dovrebbe iniziare tra una sessantina di giorni, ma nemmeno Sherlock Holmes riuscirebbe a trovarne traccia. Di più. Evidentemente consapevoli del mega-fallimento annunciato, le stesse istituzioni responsabili (sottolineo responsabili), hanno ormai pudore anche solo a parlarne, tant’è che alla B.I.T. * di qualche giorno fà né il governatore Stefano Caldoro, né il sindaco Luigi De Magistris – entrambe presenti – hanno speso una sola parola su questo. Anzi, quello che teoricamente dovrebbe essere l’evento turistico più importante dell’anno nell’intera regione, è stato totalmente assente. E come direbbe Totò, ho detto tutto.

Ancora qualche giorno, dunque, e dovremo tornare a confrontarci con queste sgradevoli realtà, non più offuscate dai clamori di una campagna elettorale quanto mai strombazzata. Sgradevoli sì, ma quanto meno concrete.
Qualunque sia l’esito delle urne, ci auguriamo che porti un governo stabile, capace di lavorare sui tempi lunghi – com’è necessario. E che sappia prestare attenzione alle questioni della cultura, che sappia vederla come un importante nodo dello sviluppo sociale ed economico del Paese, che sappia avere capacità d’ascolto, e d’interlocuzione, con quanti – ad ogni livello – lavorano nelle produzioni culturali.
In ogni caso, e chiunque sieda a Palazzo Chigi, dovremo tornare a chiedere le stesse cose, con la stessa determinazione. Nessuno sconto, in virtù di favorevoli pregiudizi ideologici.
Lunedì sera si chiude questo capitolo, e se ne apre un’altro. Assafà

Borsa Internazionale del Turismo

De revolutionibus orbium terrestium

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Guardando al passato, quale lo conosciamo ma con occhi nuovi, a volte si scorgono cose che gettano nuova luce anche su altro. Un tipico esempio è, per me, quando nel ripensare ad alcuni grandi personaggi della Storia mi accorgo di averli sempre pensati in italiano; uno dei portati del fascismo, infatti, è stata la maniacale italianizzazione non solo dei termini stranieri, ma anche dei nomi, per cui ci siamo abituati a pensare come italiani tanti che italiani non erano. E quali siano le conseguenze di questa distorsione percettiva – in termini di consapevolezza – è fin troppo evidente.
Così, se qualcuno mi avesse chiesto “sai chi è Mikołaj Kopernik?”, con ogni probabilità sino a ieri – a meno d’un colpo d’intuito – non avrei saputo dare risposta. Per me, infatti, l’uomo che ha rivoluzionato la concezione del mondo, contribuendo ad aprire l’era moderna, si chiamava Niccolò Copernico, e quindi era italiano. Era invece un astronomo polacco, che visse e studiò in Italia per alcuni anni. Ed è a lui che si deve la sistematizzazione della teoria eliocentrica dell’universo, che prese il posto della medioevale concezione tolemaica, che invece era geocentrica.
É a partire dalla rivoluzione copernicana, solo apparentemente limitata all’astronomia, che invece si rovesciano innumerevoli paradigmi culturali, aprendo appunto una nuova era, moderna, in cui cambiano radicalmente le prospettive con cui l’Uomo guarda sé stesso ed il mondo – a partire dalle riflessioni del nolano Giordano Bruno, che immediatamente sposò le idee di Kopernik.
Le lezione di (questa) Storia è non solo che i grandi cambiamenti a volte arrivano per vie inaspettate, ma che è necessario ribaltare le prospettive perchè si avverino.

Copernicus

Copernicus

Quasi tutti – credo – i cittadini di questo Paese sono consapevoli che i prossimi anni segneranno cambiamenti importanti. Quel che io credo è che ad essere ancor più importante, sia la natura di questi cambiamenti, la direzione in cui ci porteranno. E, soprattutto, quanto e come questi cambiamenti saranno segnati dalla partecipazione.
Questa consapevolezza diffusa, così come la percezione dell’urgenza del cambiamento, sotto un’apparente velo di rassegnata indifferenza sono ben presenti anche a Napoli.
Il precipitare del gradimento nei confronti del Sindaco Luigi De Magistris, così come rilevato dal sondaggio annuale Governance Poll del Sole24Ore, sceso al 18mo posto della classifica con una perdita secca di -11 punti rispetto allo scorso anno, sono una chiarissima cartina di tornasole.
La città è insoddisfatta. Non è tanto ciò che è stato fatto, che si rimprovera alla Giunta arancione – per quanto talvolta i tempi ed i modi in cui si è proceduto non siano stati i migliori possibili. É piuttosto il non fatto, a segnare la delusione. Durante la sua campagna elettorale, ed anche dopo la vittoria al secondo turno, De Magistris ha fatto promesse di cambiamento, ha suscitato aspettative, che poi lui e la sua squadra di governo si sono rivelati assolutamente incapaci di mantenere e soddisfare.
Si potrebbe perdonarne l’egocentrismo, persino accettarne l’intolleranza alle critiche, se almeno si vedessero realizzazioni capaci di testimoniare e determinare un cambiamento reale, e non di mera apparenza. Purtroppo, la realtà è un’altra: il governo della città (così come, va detto, il governo della Regione Campania) è assolutamente inadeguato.

Ancora una volta, quindi, appare chiaro che non può darsi cambiamento vero senza una partecipazione vera, attiva e propositiva, dei cittadini.
In particolare, a partire dal mondo delle arti e della cultura, può e deve innescarsi un processo di trasformazione. Ribaltare le prospettive. Questo è ciò che occorre determinare, con urgenza. E la vera rivoluzione copernicana che si può e si deve mettere in atto, è trasformare radicalmente il rapporto tra chi amministra e governa (ed ha, quindi, il controllo dei beni e dei fondi pubblici) e chi produce arte e cultura.
Questa trasformazione radicale attiene innanzi tutto al ruolo delle amministrazioni, che non può e non deve essere quello di indirizzo, ma solo ed esclusivamente quello di sostegno. Il che, tra l’altro, significa che la politica deve fare assolutamente un passo indietro, rispetto ad una presenza ridondante (e poiché qui vige l’abitudine di fare nomi e cognomi: tanto per cominciare l’assessore regionale Caterina Miraglia deve dimettersi da Presidente della Fondazione Campania dei Festival!). Altro aspetto che deve mutare è, conseguentemente, la natura della spesa pubblica per arte e cultura, che deve spostarsi fortemente dal supporto a specifici eventi e manifestazioni alla creazione di infrastrutture d’uso pubblico. Servono spazi di produzione, serve formazione professionale, serve capacità di found raising, serve networking, servono strumenti ed opportunità di promozione internazionale, serve un tavolo di coordinamento tra le realtà produttive artistiche e culturali e tra queste e gli operatori del settore turistico.

Aspettarsi tutto questo da chi non sa neanche immaginarlo, è tempo sprecato. Ogni interlocuzione con le pubbliche amministrazioni, quindi, deve nascere in virtù di un ribaltato rapporto di forze. Non più pochi politici a dispensare danaro e/o a concedere spazi da un lato, e dall’altro artisti ed operatori culturali col cappello in mano, alla individuale ricerca del canale privilegiato prima, nell’annosa attesa della liquidazione fondi poi.
É il tempo de revolutionibus orbium terrestium, di rivoluzionare il mondo. É tempo di rimboccarsi le maniche, di mettere in moto le intelligenze. Questo tempo è oggi.
Il percorso è già avviato, e presto cominceremo a diffondere la nostra chiamata alle arti. Perchè il momento di ritrovarsi tutti insieme, per mettere in comune esperienze e volontà, e per farne sintesi e non semplice sommatoria, è arrivato. La distanza dal primo appuntamento si conta in giorni.
Stay tuned!

‘Irretiti’ dal contemporaneo?

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Lo scorso 4 dicembre, su iniziativa del Direttore Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee, Maddalena Ragni, si è tenuto a Napoli, al Museo di Capodimonte, un convegno sul tema: “Sud contemporaneo: progetto per una rete”. Un’iniziativa importante, che serve anche a ricordarci come, nelle istituzioni pubbliche, e nonostante la vulgata ci porti a pensare il contrario, c’è anche tanto di buono e di propositivo.
L’incontro è stato un’occasione per riflettere su alcune delle problematiche che caratterizzano il mondo dell’arte contemporanea, soprattutto delle arti visive. E che, come spesso accade, è servito a far emergere alcune questioni proprio in ordine all’idea di rete, a cui il convegno stesso era dedicato. Nonché, ovviamente, alle specificità che caratterizzano il Sud del paese, anche sotto questo profilo.
Non è un caso che la sede prescelta, la città di Napoli, oltre ad essere la capitale del Mezzogiorno sia anche (stata) un centro importantissimo per l’arte contemporanea, e non solo in Italia. E, per certi versi, sembra che qualcosa stia tornando a muoversi, intorno a questo tema. Forse, lo stesso convegno è, casualmente, un sintomo di questo (possibile) risveglio.

La nuova stazione Toledo della Metropolitana

La nuova stazione Toledo della Metropolitana

Premetto che non ho potuto seguire la sessione pomeridiana del convegno, e quindi possibile che qualcosa mi sia sfuggito. Vorrei comunque provare ad articolare alcune considerazioni in merito ai temi ed alle questioni emerse nella mattinata.
Nel suo intervento, Maria Grazia Bellisario (MIBAC) ha detto: “La complessa e variegata realtà del contemporaneo in Italia fa (infatti) sentire sempre più forte e da più parti l’esigenza di mettere in comunicazione situazioni spesso decisamente diverse tra loro, ma accomunate dalla avvertita necessità di rendere visibile, comprensibile e apprezzata l’offerta delle espressioni artistiche contemporanee ad un pubblico sempre più vasto e consapevole”, ponendo sin dall’inizio una questione cruciale, che però poi mi è sembrato non fosse compiutamente raccolta. Rendere visibile e comprensibile, ad un pubblico sempre più vasto, è infatti la questione fondamentale per l’arte contemporanea, e per il suo futuro. Ed è, ad un tempo, centrale sia per garantire l’avvenire delle istituzioni museali, sia per evitare che il nostro Paese esca dalla contemporaneità nell’arte, abbandonandosi al declino.

É evidente a tutti che l’arte contemporanea pone delle problematiche comunicative nuove, forse assolutamente inedite. La rarefazione negli esiti della ricerca artistica, la sempre maggiore concettualità che la caratterizza, rendono le arti contemporanee assolutamente meno in comunicazione con il sentire comune (quantomeno sul piano della consapevolezza), creando quindi un gap che necessita di essere colmato.
Naturalmente, non è qualcosa che possa risolversi semplicemente attraverso opportune e migliori azioni di marketing; si tratta piuttosto di avviare un’operazione di lungo respiro, che deve trovare il suo primo terreno di coltura nella scuola e nell’università. Senza però ritenere che, ancora una volta, sia sufficiente la didattica. Non basta – a mio avviso – una azione educativa sull’estetica oppure su una moderna storiografia dell’arte, laddove il cuore del problema è riconnettere il mondo interiore e la sensibilità dell’artista e quello della società che lo esprime, e far sì che ciò avvenga attraverso un processo di consapevolezza. Insomma, occorre agire in modo più vasto, più profondo e più duraturo, sul corpo sociale, che non semplicemente introducendo l’arte contemporanea come materia nelle scuole di ogni ordine e grado.

Un’altra questione centrale, a mio avviso, emerge dalle osservazioni fatte da Anna Detheridge (Connecting Cultures). Nel suo intervento, infatti, ha sottolineato quelle che sono, probabilmente, le esigenze che possono trovare senso e soluzione nel fare rete, ovvero l’accesso a servizi di supporto quali la consulenza fiscale ed il crowdfunding (tanto per citarne alcuni). Il che, ovviamente, ci porta ad un’altra considerazione.
“Nel Mezzogiorno (ci sono) 225 luoghi stabilmente dedicati all’arte contemporanea (in prevalenza di natura pubblica) e 108 manifestazioni di varia natura e rilevanza”. Così lo Studio per la Definizione di una Rete dell’Arte Contemporanea nelle Regioni del Mezzogiorno, presentato al convegno a cura di di CLES e Civita. Se questa è la platea da cui partire per ragionare su una possibilità di messa in rete, appare infatti chiaro che si pongono dei problemi di scopo. Per la natura stessa dei soggetti potenzialmente interessati ad entrare in rete, innanzi tutto, che possono essere pubblici o privati, luoghi od eventi.
Già la definizione dei criteri di accesso alla rete, costituiscono l’anticamera di queste problematiche. I criteri, infatti, possono essere di storicità (durata nel tempo), di qualità, persino di censo (entità della quota associativa). E sussistere singolarmente o combinati tra di loro. Ovviamente, questi criteri definiscono ab origine le finalità della rete, e ne prefigurano gli scopi.
Scopi che possono andare da un livello più basico, quale ad esempio il coordinamento della programmazione, la costruzione di calendari coordinati per l’offerta turistica, l’interscambio e la produzione comune, per arrivare ad un livello più avanzato, quale la progettazione comune per l’accesso a fonti di finanziamento pubblico, l’apertura di canali di scambio internazionali, etc.
In ogni caso, è fondamentale -imho – che questa rete, se vedrà la luce, sia quanto più possibile orizzontale, reticolare, includente; e soprattutto, che sappia offrire vantaggi concreti ad i suoi aderenti, senza diventare l’ennesimo ente inutile, o l’organigramma vuoto buono solo per i biglietti da visita.

Due brevi annotazioni, infine, sulla specificità napoletana. Da un lato, la notizia che la Stazione Toledo della Metropolitana, da poco inaugurata, è stata giudicata la più bella d’Europa. Nel momento in cui il non-governo di Caldoro sta portando al collasso il sistema di trasporto regionale, questo evento non solo stride in maniera drammatica con la realtà, rendendone più vividi i toni, ma restituisce anche un senso alle cose – e speriamo, anche una consapevolezza e dunque una speranza, ai cittadini napoletani. In qualche modo, ci dice che non tutto è perduto, che è ancora possibile ricominciare da tre.
L’altra notizia è che la politica torna ad interessarsi del contemporaneo, nelle forme che più gli competono. La scorsa estate, sui quotidiani ci fu un lungo dibattito sulle sorti del Museo MADRe, in cui brillava per la sua assenza proprio la politica, ed in particolare quella cittadina. Nei giorni scorsi, e nell’imminenza della nomina del nuovo Direttore del MADRe, abbiamo letto su Repubblica un’intervento di Peppe De Cristofaro, Segretario cittadino di Sinistra Ecologia e Libertà, che entrava nel merito delle questioni politiche ed amministrative poste dalle scelte dell’assessore Miraglia.
Di là dal merito, è un segnale positivo, che testimonia – mi auguro – l’avvio di un inversione di tendenza più generale, che porti la città (e segnatamente la sua parte culturalmente più sensibile ed attiva) ad interrogarsi sul proprio futuro, tornando ad essere davvero protagonista delle scelte che la riguardano. Perchè in ogni caso la politica non va lasciata sola, nel riflettere e nel decidere sulle questioni culturali della città.
In quest’ultimo anno e mezzo, Napoli è sembrata irretita da una promessa di mirabolanti cambiamenti. Forse, ora si può cominciare a sperare che si svegli dall’incantamento. C’è un detto africano, ripreso da Federico Rampini come titolo del suo ultimo libro, “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”; beh, forse l’orologio della demagogia politica si è finalmente rotto, e sta per tornare il tempo della ricostruzione.